La notizia giunta il 9 maggio scorso, la liberazione di Silvia Romano, è stata un raggio di sole in quello che fino ad ora è stato un anno tra i più difficili che il nostro paese abbia affrontato. La nostra connazionale fu rapita Il 20 novembre del 2018, da un gruppo di uomini armati, che l’avevano prelevata con la forza da un poverissimo villaggio ad un’ottantina di chilometri da Nairobi. Silvia, allora 23enne prestava servizio come volontaria per conto di un’onlus italiana, Africa Milele. Dopo il rapimento era da subito stata avanzata l’ipotesi, dalle autorità locali, che il suo rapimento non fosse stato realizzato ad opera di criminali comuni, mezzi e armamenti utilizzati avevano fatto emergere i sospetti che il suo rapimento fosse stato “commissionato”. Il sospetto si è in un certo senso avverato quando si è appreso che Silvia fosse stata trasferita in Somalia, nelle mani dei Jihadisti di al-Shabaab.

Silvia Romano prima del rapimento durante la sua missione di volontariato

Questo gruppo terroristico nasce nel 2006, dopo la sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche da parte del Governo Federale di Transizione. La loro è un’ascesa rapida, tanto che nel 2008 risultano sulla lista delle organizzazioni terroristiche degli Usa e nel 2012 giurano fedeltà ad al-Qaeda. Come gli altri gruppi terroristici di natura Jihadista, lo scopo di al-Shabaab è quello di instaurare in Somalia la Sharia, la legge islamica. Il gruppo ha il controllo delle zone rurali nel sud e nel centro del paese, dopo la sua espulsione da Mogadiscio nel 2011. La lotta a questo gruppo è stata condotta con una prima vittoria nel 2014, con l’uccisione di Ahmed Abdi Godane, leader del gruppo, sostituito poi a capo dell’organizzazione da Ahmed Umar. Ma nonostante le azioni militari, in gran parte americane, al-Shabaab ha continuato ad operare, portando a termine diverse azioni criminali; tra le più cruente possiamo ricordare l’attentato al centro commerciale di Westgate, a Nairobi, che nel settembre 2013 costò la vita a 67 persone, quello che nel dicembre del 2018 fece 85 morti dopo l’esplosione di autobomba, per non parlare del più devastante, quello nel campus universitario in Kenya, che lasciò senza vita 148 persone.

Militari del Kenya dopo l’attacco terroristico al campus universitario

Ma le loro azioni sono anche più recenti, è del settembre scorso la notizia dell’esplosione, sempre a Mogadiscio di un’autobomba al passaggio di un convoglio di mezzi militari italiani. Insomma, al-Shabaab è un gruppo ben organizzato, pericoloso e che come tutti i gruppi terroristici ha bisogno di fondi per funzionare. I soldi a queste organizzazioni arrivano attraverso diversi canali, da quelli inviati dall’Europa, attraverso le organizzazioni islamiche radicalizzate a quelli forniti da ricchi magnati. Basti solo pensare che proprio al-Qaeda poteva contare su un patrimonio che oscillava tra i 250 e i 300 milioni grazie al patrimonio di Osama Bin Laden. Ma una fonte non indifferente di guadagno per queste organizzazioni arriva proprio dai rapimenti. In cima alla lista per numero di persone rapite, gli Stati Uniti occupano la vetta. La loro capillare presenza in una moltitudine di località nel mondo e la loro tendenza ad essere presenti per scopi miliari, li ha resi nel tempo bersagli prediletti per queste organizzazioni. Al secondo posto però ci siamo noi. E questo fattore non è da sottovalutare quando si cerca di affrontare la liberazione di Silvia Romano. Perché se è vero che siamo tutti entusiasti di riaverla a casa, ciò su cui invece possiamo e forse dobbiamo discutere, sono le modalità con cui Silvia è stata riportata in Italia. Il suo ritorno infatti è stato il frutto del pagamento di un riscatto, che oscilla tra l’uno e i quattro milioni di euro, e dopo il coinvolgimento dei servizi somali e turchi; e soprattuto dopo il depotenziamento dei nostri servizi di intelligence nel corno d’Africa. L’aiuto dei turchi ci costerà caro, e lo farà probabilmente in relazione alla guerra in Libia, dove Roma e Istanbul perseguono interessi non sempre complementari. Ma il punto della questione rimane il versamento di così tanti soldi nelle mani di un gruppo come quello di al-Shabaab. Non c’è da fraintendere, Silvia andava liberata e andava riportata a casa, quello che viene da chiedersi è se piegarsi a dover chiedere aiuto ai turchi e versare diversi milioni nelle casse di un gruppo di terroristi fosse la scelta migliore. Se veramente il Governo abbia tentato tutto il possibile per riportare a casa quella ragazza, o se invece si sia scelta la strada più semplice; una strada che però sarà semplice solo nel breve periodo. Ciò che è accaduto crea di fatto un precedente, ovvero quello che se un italiano verrà rapito, allora l’Italia sarà disposta a pagare, e questo non è un qualcosa che il nostro paese può permettersi. Di fatto, la modalità di liberazione di Silvia potrebbe aver posto un faro sui nostri connazionali all’estero, rendendoli prede molto ambite da parte di qualsivoglia gruppo terroristico o criminale. C’è poi da analizzare un ultimo aspetto di questa vicenda, Silvia è a casa, viva, ma bisognerà capire in che condizioni è tornata.

Silvia Romano appena scesa dall’areo che l’ha riportata in Italia

La ragazza che abbiamo visto scendere dall’aereo a ciampino, è molto, molto diversa dalla ragazza che abbiamo sempre visto nelle sue vecchie foto. “Mi sono convertita all’Islam” e “è stata una libera scelta” è questo ciò che ha dichiarato Silvia, ma la sua conversione “spontanea” all’interno di un contesto, come quello di vivere con dei carcerieri di al-Shabaab, lascia più di qualche dubbio. Queste organizzazioni terroristiche sono rinomate per le loro tecniche atte a piegare la volontà di un individuo, a minare quella che è la loro salute mentale. Ciò che è certo è che la procura di Roma comunque interrogherà questa ragazza, perché ha avviato un’indagine per rapimento a scopo di terrorismo. Quello che ci auguriamo è che venga avviata anche un’indagine per finanziamento di terrorismo. Perché se è vero che Silvia è a casa, sana e salva, è vero pure che al-Shabaab ha messo le mani su diversi milioni, e quei milioni significano altre armi e altri morti, molti altri morti sulle strade somale e keniane.