Estratto da “Dossier Mafia Nigeriana” del 04/12/2018, redatto dall’ufficio studi di FdI.

“Vorrei attirare la vostra attenzione sulla nuova attività criminale che un gruppo di nigeriani appartenente a sette segrete, proibite dal governo a causa di violenti atti di teppismo: purtroppo gli ex membri di queste sette che sono riusciti ad entrare in Italia hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali”

  • Nota informativa dell’ambasciata nigeriana a Roma del 2011
Ambasciata Nigeriana a Roma

Quello nigeriano è attualmente uno tra i più efficienti e pericolosi sistemi criminali africani a livello transnazionale. Il crimine organizzato nigeriano costituisce un sistema, piuttosto che un’unica struttura, composto da cellule di differente caratura criminale, organizzate al loro interno da una struttura verticale in grado, al contempo, di agire isolatamente, quali componenti di un assetto reticolare.

Secondo la Direzione Nazionale Antimafia Italiana, la struttura criminale nigeriana si potrebbe scindere in bande aggressive, i cults, al fianco di gruppi più articolati e solidi, definite vere e proprie holding del crimine. La struttura delle cellule criminali nigeriane varia a seconda dei contesti in cui i clan si trovano a operare, dimostrando una elevata adattabilità ambientale. Ciò che accomuna i diversi gruppi criminali è l’assenza di una reale affiliazione all’organizzazione, composta principalmente da persone di etnia Ibo (o Igbo) o Yoruba, con un elevato tasso di istruzione, la mafia nigeriana si è conquistata un posto di livello internazionale nel mondo del crimine.

L’operatività di tali organizzazioni è rivolta a specifici settori illeciti, quali: il narcotraffico, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento sessuale e lavorativo. I gruppi criminali sono di genere maschile, soprattutto per le attività di narcotraffico e truffe telematiche, femminile invece per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione con la figura della madame, tipicamente ex vittime di tratta che gestiscono il sistema di sfruttamento.


LE BANDE OPERANTI IN ITALIA

Le bande mafiose nascono come degenerazione dei gruppi cultisti attivi nelle università della regione del Delta del Nigeriana fin dagli anni ’50, gruppi che si opponevano alla dominazione europea. All’inizio erano semplici confraternite universitarie, ma presto si trasformano in
associazioni a delinquere che travalicano i muri dei campus. Sarebbero almeno una dozzina i gruppi che si contendono il primato, nel Paese africano e all’estero. In Italia è certa la presenza di almeno due nuclei, divisi da un conflitto sotterraneo e brutale che va avanti da due decenni: la Supreme Eiye Confraternity (SEC) e i Black Axe. Secondo il rapporto “Global Report on Trafficking in Persons 2014” dello United Nations Office in Drugs and Crime (UNODC), con l’operazione Cults finirono in manette “Membri di due gruppi, chiamati Eiye e Black Axe, operativi in alcune parti d’Italia da almeno il 2008”.

Due gruppi che “hanno combattuto per oltre sei anni per il controllo dell’area di Roma” (periferia est, Tor Bella Monaca), affrontandosi con armi da fuoco, spranghe, coltelli e machete. Chi gestisce i traffici, contrariamente al credo popolare, non sono illetterati provenienti da sperduti villaggi dell’Africa equatoriale. Spesso, anzi, si tratta di laureandi o comunque di persone dotate di una cultura superiore. Un dato di fatto che deriva dalla stessa storia della mafia nigeriana. Negli ultimi anni secondo l’ONU, sarebbero aumentati vertiginosamente i membri sotto i 12 anni, bambini di strada utilizzati come soldati. Contrariamente agli anni ’70, poi, oggi esistono anche confraternite tutte al femminile, le più note e terribili sono Jezebel e Pink Ladies. In Italia, secondo la DIA, appare poi assodato che le mafie nostrane appaltino il lavoro sporco ai nigeriani e che questi, quando agiscono da indipendenti (ad esempio nella vendita della droga), debbano pagare il pizzo a Cosa Nostra e alle ‘ndrine. Una tassa “mal supportata”, tanto che a volte scoppia lo scontro, come accadde a Castel Volturno nel 2008, quando i Casalesi spararono indiscriminatamente sulle case dei braccianti immigrati, uccidendo sei persone (per altro non affiliate alle bande). Rapporto in ogni caso in continua evoluzione: come riportato esplicitamente in una relazione della Direzione Investigativa Antimafia (giugno
2017): “Gli altri gruppi di matrice etnica operano tendenzialmente con il beneplacito delle mafie storiche; mentre in altre zone dimostrano una maggiore autonomia che sfocia in forme di collaborazione quasi alla pari”. Di conseguenza la “tregua collaborativa” alla quale assistiamo ora, in futuro verrà necessariamente scossa là dove i nigeriani si rafforzeranno o le cosche italiane indeboliranno. Inoltre sembrerebbe che la mafia italiana non permetta loro di portare armi da fuoco, per questo fanno uso del machete anche per risolvere eventuali controversie interne.