Il 12 Febbraio del 1980, alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, era una mattinata come tante. Oggi, nell’epoca dell’indifferenza padrona, dopo mesi di studenti mascherati e esami online, appare difficile immaginare il suono dei colpi di pistola rimbombare per le scale dell’Ateneo.
Ma non erano anni “normali”, erano gli anni di piombo.
Il piano delle Brigate Rosse, per sovvertire quello che loro chiamavano “Stato Imperialista delle Multinazionali”, iniziava dal colpire indiscriminatamente chiunque per loro rappresentasse il “potere”. Non perché ricoprisse un ruolo strategico di un apparato che doveva essere smontato, non in quanto imputabile o responsabile di chissà quale crimine ai danni del “proletariato”, bastava essere membro delle istituzioni per finire nella linea di tiro del fuoco brigatista.
Per questo, quella mattina, Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti si confusero, armati, tra il disordine e la folla di studenti. Aspettarono che il professor Vittorio Bachelet varcasse la porta dell’aula in cui aveva appena finito di svolgere lezione, e, fermatosi a parlare per le scale con la sua assistente Rosy Bindi, lo colpirono otto volte.
Bachelet non era un professore qualunque. Era il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentante di quella giustizia che i Brigatisti combatterono al punto di arrivare a uccidere i giudici, i membri della giuria popolare e gli avvocati d’ufficio che venivano assegnati loro nei processi, poiché volevano essere dichiarati prigionieri politici e, a loro detta, “la rivoluzione non si processa”.
Ad animare Bachelet nel suo vasto operato però non erano gli stessi interessi di parte che purtroppo siamo venuti a conoscenza smuovere molti di coloro che oggi fanno parte di tale organo: la fede cristiana, che lo spinse fin da bambino a iscriversi alla Azione Cattolica di cui San Papa Giovanni XXIII lo nominerà vicepresidente prima, e di cui poi divenne presidente, lavorando anche nei Consigli Pontifici di Pace e Giustizia e della Famiglia, che difese anche come attivo partecipante della campagna referendaria antidivorzista.
Come laico sia nell’impegno civile che accademico si adoperò sempre indipendentemente dalle proprie convinzioni personali, pur mantenendole ben salde, nel rispetto democratico della Costituzione che, insieme agli insegnamenti del Vangelo, rappresentò il monito della sua esistenza.
Bachelet sapeva già da due anni, dalle indagini sul sequestro di Aldo Moro, suo amico dai tempi dell’Università, di essere finito nella lista di obiettivi dei brigatisti, ma rifiutò la scorta. Come lui, in quella stagione di sangue, migliaia di cittadini innocenti e uomini di Stato, di ragazzi e di adulti furono barbaramente uccisi perché bollati come “nemici” dall’odio Comunista.
Al suo funerale, le parole del figlio, Giovanni Battista, rispecchiano la differenza di una cultura, quella Cristiana, che rappresenta le radici della nostra civiltà Europea, che al contrario riconosce l’altro come al massimo avversario con cui confrontarsi, e mai come soggetto da eliminare:
“Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri.”
Filippo Mosticone