Pochi giorni fa è avvenuto un fatto che ha dato molto da parlare sia alle figure istituzionali della Sapienza, sia alle varie associazioni studentesche facenti parte dell’Ateneo, sia ai giornali e telegiornali nazionali. Il fatto in questione è lo scelerato atto vandalico perpetrato ai danni della panchina rossa dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne a opera di Zaum (rivendicato tramite i profili social) e i collettivi. Inaugurata dalla Rettrice Antonella Polimeni, dall’AS Roma (rappresentata da una delegazione e alcuni calciatori) e dall’Assemblea Capitolina rappresentata dal Sindaco Gualtieri, la panchina è stata raggiunta successivamente (non più di un’ora dopo) da un manipolo di militanti dei collettivi che, con fare teppista, hanno manifestato il proprio dissenso nei confronti dell’installazione di quella panchina fino a tentare di rimuoverla fisicamente. Viene testimoniato, infatti, che alcuni individui hanno fatto in modo che si smontasse e conseguentemente, rompesse la panchina (salendoci sopra, saltandoci, dondolandocisi) per poi, una volta rotta, buttarla nell’immondizia (da bravi ecologisti). “La panchina rossa deve stare nella differenziata”, così avrebbero commentato la loro azione. Il tutto ha, purtroppo, portato ancora all’ennesimo momento di tensione anche con la polizia. Le motivazioni del gesto sono state, almeno inizialmente, apparentemente poco chiare a tutti. 

È certo che il fatto non è rimasto senza condanna: la stessa Rettrice Polimeni ha fatto uscire, nella sera, un reel in cui, narrando gli avvenimenti, condannava con forza le azioni dei “facinorosi”. Naturalmente questa presa di posizione non è passata inosservata e qualcuno ha deciso bene di rispondere posizionando, esattamente dove doveva trovarsi la panchina rossa, una zucca imbrattata con le seguenti parole: “Fanculo Polimeni – (viva Marx)”. Come sempre, parole di amore, stima e rispetto reciproci (ma poi, perché la zucca… perché Marx?).

Purtroppo la triste (e noiosa) cronaca non si conclude con questi fatti già narrati (che bastavano e avanzavano). Infatti, tra le condanne relative a questo episodio fatte delle varie associazioni studentesche (Azione Universitaria in testa) è stata, purtroppo, recentemente fatta anche una dichiarazione forte, sbagliata e grave. Sono stati infatti paragonati i collettivi e le associazioni varie all’assassino Filippo Turetta. Lo sciocco e sbagliato commento è stato fatto niente meno che da una senatrice accademica per Sapienza Futura, il che appesantisce la gravità del commento stesso, essendo attivamente e istituzionalmente rappresentante di decine e decine di studenti e studentesse.

In questo contesto, Azione Universitaria si trova in una posizione privilegiata in quanto ha saputo gestire la propria comunicazione con l’esterno in maniera del tutto pulita e adeguata, condannando le azioni dei collettivi (alle quali non siamo nuovi) e prendendo le giuste distanze dagli eccessi di chi sbaglia nell’esprimere il proprio disprezzo nei confronti di certi episodi.

Ma tornando alle motivazioni del gesto perpetrato dai Kompagni, è stato successivamente chiaro che questo altro non era che una dimostrazione simbolica: non basta una panchina rossa per combattere la piaga della violenza contro le donne. E qui diventa necessaria una riflessione: ci fa piacere che anche i nostri cari amici Kompagni si siano resi conto che il problema (che è prima di tutto culturale) della violenza di genere non si risolva con l’installazione di una panchina rossa, alla presenza di figure istituzionali e non. Ma seppur non risolva la situazione, siamo sicuri che sia del tutto inutile? Assolutamente no, e vi spieghiamo perché: la politica, la storia e gli avvenimenti di importanza culturale sono tutti caratterizzati da fattori umani, fattori di relazione dunque. E la relazione può essere costituita da tante sfaccettature, modi di porsi e di comunicare disparati, tra cui quello della Testimonianza (attiva o passiva che sia). Ed essendo dunque la lotta contro la violenza di genere una battaglia squisitamente culturale (tralasciando che il fatto che la violenza di genere sia il frutto di una degenerazione culturale di cui si sono macchiati buonismo e progressismo scelerati), la testimonianza può giocare un ruolo importante, seppur secondario. O vogliamo forse affermare, a questo punto, che anche le lapidi installate dalla Sapienza per sensibilizzare sul tema della lotta alla mafia sono del tutto inutili? Vogliamo distruggere anche quelle?

Ma, ancora, suggerirei di guardarla da un altro punto di vista. Supponiamo che la panchina (e quindi anche quelle lapidi) sia effettivamente irrimediabilmente inutile per sensibilizzare sull’emergenza della violenza di genere: è stato utile distruggerla? Ha portato qualche vantaggio? Ha forse portato le organizzazioni che si sono macchiate di questo atto ad avere un’ampia legittimità nel dibattito sul tema utile a fornirle dei mezzi concreti per portare il proprio apporto attivo per questa lotta? La risposta a tutte queste domande è semplice: no. Ma finché si continuerà a pensare che l’odio si possa lavare con altro odio e la violenza con altra violenza, non si andrà mai da nessuna parte.

Raffaele M. A. Pergolizzi