La tematica che andremo ad esplicare non è una semplice tecnica utilizzata per un singolo e semplice intervento in un sistema macroeconomico. Tale ideale è stato originato dall’insieme di profondi studi, accertamenti su dati storici, riflessioni e accurate osservazioni dei fenomeni economici che hanno cambiato le economie dei paesi così tanto da dare vita alla costruzione di una visione: il Monetarismo. Rammento che l’obiettivo della politica macroeconomica è quello di negare in linee generali l’oscillamento del PIL. Per politica monetaria espansiva s’intende creare moneta e quindi il suo aumento nella circolazione. Per politica monetaria restrittiva intendiamo una riduzione della moneta. Il monetarismo è una teoria macroeconomica sviluppata da Milton Friedman che si occupa principalmente dello studio dell’offerta di moneta impartita dalle banche centrali e del controllo di tale offerta. Nato con idee Keynesiane, nel corso dei suoi studi Friedman si allontanò fin tanto da prendere posizioni nettamente opposte. Keynes affermava che i sistemi economici non erano in grado di garantire la piena occupazione e quindi serviva un intervento massiccio dello stato. Invece secondo i monetaristi, l’economia può raggiungere da sola la stabilità senza l’intervento pubblico.

L’ascesa del monetarismo iniziò quando Friedman affermò che, in caso di un eccesso d’offerta di moneta, nessuno avrebbe tenuto inutilizzato tale eccesso di liquidità e quindi i consumatori lo avrebbero utilizzato aumentando la domanda aggregata. Nel caso opposto, se fosse calata l’offerta di moneta… tutti avrebbero ridotto i loro consumi per mantenere in equilibrio il loro bilancio di liquidità. Friedman contestava Keynes per la sua formulazione “la moneta non è importante” sostenendo che in realtà l’ammontare di moneta è fondamentale per l’influenza dei consumi… Da ciò fu enunciata la parola “Monetarista”. Ma Keynes affermava anche che il costo dell’investimento non dipende solo dal tasso d’interesse (stabilito dalla BC) ma anche dalle prospettive future e quindi il grado di pessimismo e ottimismo degli imprenditori (“animal spirits”). Da qui comincia la critica di Friedman, e altri monetaristi, partendo dall’interpretare i fenomeni del passato. I monetaristi ritenevano che la “Grande Depressione” del 1930 fosse stata causata da una contrazione dell’offerta di moneta mentre keynes riteneva che la causa fosse stata la carenza degli investimenti. Difatti, a seguito del crollo della banca di Wall Street del 1929, il programma di ripresa economica del paese americano stabilito da Keynes prevedeva proprio un piano di investimenti concentrati in gran parte nelle infrastrutture. Investendo nella costruzione di ponti, strade, viadotti, linee ferroviarie e acquedotti avrebbe consentito innanzitutto l’assunzione di migliaia e migliaia di lavoratori a basso costo per le imprese edilizie per via delle basse capacità lavorative richieste; per di più, le imprese edilizie per poter costruire dovevano per forza attingere le mani nelle loro tasche per acquistare materie prime di ogni tipo e che portassero a buon termine tale piano di costruzione…e ciò comportò una ripresa economica. Successivamente si elaborò il famoso “moltiplicatore Keynesiano” spiegando la variazione del reddito a seguito delle collegate variazioni di consumi, spesa pubblica e investimenti nel sistema economico.

La visione monetarista entrò nell’ottica più credibile alla risoluzione dei problemi quando il presidente Jimmy Carter nominò un monetarista come presidente della FED, Paul Volcker, riportando il livello dei prezzi nei valori stabiliti mentre le formule create da Keynes sembravano non saper sanare la “stagflazione” (aumento contemporaneo della disoccupazione e inflazione , che porta ad una situazione di stallo dell’economia e cioè senza possibili riprese e resilienze). Tuttavia, il dibattito tra il monetarismo di Friedman e la corrente Keynesiana fu sul dilemma di quale strumento fosse più efficiente tra la politica monetaria e la politica fiscale (di bilancio). Secondo Friedman la politica monetaria può durare solo nel breve periodo. Questo perché inizialmente aumentando la moneta in circolazione, le imprese sono più consapevoli dell’aumento dei prezzi e quindi più entrate per esse. I lavoratori, dato un aumento delle entrate da parte delle imprese, notano nel breve periodo un aumento del salario nominale ma non SUBITO l’aumento dei prezzi (l’origine delle entrate). Quindi attenderanno l’aumento del loro salario reale perché ciò che conta è quello reale (collegato al loro potere d’acquisto); l’aumento del salario nominale a volte rappresenta solo una mera illusione. Tale illusione dei lavoratori, tuttavia, è temporale perché nel lungo periodo si accorgeranno che stanno aumentando anche i prezzi e ciò causerà una riduzione della domanda di beni e servizi e il successivo calo del lavoro. Infine, nel lungo periodo, il tasso di disoccupazione dovrà aumentare fino a raggiungere il livello del tasso di disoccupazione naturale (il tasso che segna la relazione d’equilibrio tra numero dei posti di lavoro disponibili e numero dei lavoratori disoccupati). Corrispondentemente, il tasso d’interesse di mercato aumenterà per effetto dell’aumento dei prezzi, fino a coincidere anch’esso con il tasso d’interesse naturale (prezzo d’equilibrio tra domanda e offerta di capitale…).

Concludo con il dire che la visione monetarista è una teoria che mira ad evitare il controllo in modo accentrato dello stato e il controllo eccessivo della moneta da parte delle BC, cercando di “difendere” e lasciare più spazio alla crescita della produttività e della domanda interna del paese. Con questo sistema si garantisce un equilibrio per poi pianificare su quest’ultimo le politiche delle BC. Anche per questo motivo la teoria Keynesiana viene adottata prevalentemente da governi di sinistra o progressisti mentre quella monetarista maggiormente da governi di destra o centrodestra. 

Nonni Andrea