Il divario retributivo non riguarda solo il genere, ma anche le generazioni: con il termine “generation pay gap” si intende infatti la differenza tra gli stipendi medi percepiti tra lavoratori di generazioni diverse. È sicuramente fisiologico che un lavoratore più anziano percepisca un salario più alto rispetto a un giovane al primo contratto, ma come mai, la differenza tra le due categorie è così marcata? E soprattutto, perché questo gap continua a crescere? Nel 1985, infatti, un under 35 guadagnava in media circa il 19% in meno rispetto a un suo collega over 55, mentre oggi lo scarto è del 37%.
Le cause di questa tendenza sono molte. Sicuramente tra le più evidenti abbiamo contratti con retribuzioni basate soprattutto sull’anzianità, una bassa crescita della produttività e una scarsa cultura aziendale sul ricambio generazionale. I datori di lavoro, inoltre, tendono a pagare meno i colleghi più giovani facendo leva sulla maggiore debolezza contrattuale e sulla difficoltà sempre nell’inserimento sul mercato del lavoro: le imprese pagano meno chi è più giovane, e spesso i candidati accettano condizioni peggiori pur di confermare il proprio contratto, nella speranza di una maggiore soddisfazione futura. La povertà relativa colpisce il 24,6% degli under-30, contro il 20% della popolazione generale e il 15,7% degli over-60. Significa che circa 1 giovane su 4, in Italia, non guadagna più di 865 euro al mese. La disoccupazione giovanile, infatti è superiore al 20%. Cambierà ancora il panorama dei sostegni ai giovani. Il decreto Lavoro del Governo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore da venerdì 5 maggio 2023, delinea due bonus per chi assumerà i beneficiari dell’assegno di inclusione e i «Neet» (i ragazzi che non studiano e non lavorano, con età compresa tra 18 e 30 anni).
Sono misure che si affiancano a un set di aiuti per i giovani articolato: bonus, prestiti agevolati e sostegni vari, pensati per favorire l’acquisto della casa da parte degli under 36 o per sostenere il pagamento del canone d’affitto. Ma anche per supportare lo studio, la formazione e le attività culturali in senso lato. Se è vero che l’efficacia di tutte queste misure potrà essere misurata nel lungo periodo, è altrettanto evidente che le statistiche ufficiali delineano un quadro di forte difficoltà per i giovani, che spesso sono più esposti all’inflazione (+8,3% su base annua ad aprile secondo l’Istat) e al conseguente aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Banca centrale europea (3,5% il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali).
Salvatore Parrella