Da grande affascinato dei concetti della Psicologia della Gestalt (https://it.m.wikipedia.org/wiki/Psicologia_della_Gestalt), sono estremamente convinto che la realtà sia una costruzione cognitiva e non una banale percezione di riflesso dei sistemi sensoriali. La percezione è un fenomeno cognitivo che colloca un dato in uno schema di senso individuale. Partendo da questo presupposto, chiaramente, quando si parla di concetti astratti, molto astratti, come lo “stato”, l’utilizzo di un concetto, invece di un altro, attribuisce uno schema di senso preciso a cosa sia la realtà statale, dando quindi per scontati una serie di prerequisiti e definizioni, assolutamente non banali, al fenomeno percettivo che definiamo in questo termine come “stato”.
La parola “stato”, quindi, presuppone già lo schema cognitivo di senso con cui categorizzo tutte le percezioni afferenti a questo fenomeno.
Chiarito questo, quando parliamo di stato, a che fenomeno del reale ci stiamo riferendo?
Nella terminologia comune, ad un organizzazione politica-giuridica dotata di potere (giuridico) e capacità, usato come sinonimo del concetto filosofico di “potenza”, (politica), in un dato territorio in un dato periodo temporale.


La questione, tuttavia, è che con il termine “stato” uniamo in un solo termine due fenomeni distinti: Quello giuridico e quello politico, riducendo in unità, in realtà, un fenomeno complesso che sia nella parte giuridica che politica è fratturato e non è unico. Qui insomma, Schmitt può chiarire meglio di me quale sia il problema di fondo, senza trattare oltre la questione altrimenti esuliamo dalla tematica trattata.
A quel punto, resta il fenomeno politico, a cui spesso in realtà leghiamo il termine stato, è dotato invece di caratteristiche “proprie”, e molteplici, nelle quali al fenomeno politico concorrono in realtà tante “entità” individuali e collettive, in cui le loro azioni, fanno emergere il fenomeno politico, considerato ovviamente, come non una somma delle singole azioni delle entità ma di una realtà propria benché derivata dal agire delle sue componenti.
Dunque l’opportunità di non ridurre in unità per descrivere al meglio i fenomeni che si percepiscono, è opportuno definire la fenomenologia politica con termini propri, in tal modo da non utilizzare schemi di senso afferenti ad altre discipline (ndr si veda la giurisprudenza o la religione), dunque la categoria a cui faremo afferire tutti i concetti politici è “Comunità Politica”.
Cos’è la “Comunità Politica”?
Il concetto di “Comunità Politica”, risale ad Aristotele ed egli definisce come “Comunità di uomini liberi affrancati dalle esigenze materiali di base che scelgono come vivere, liberamente” (circa, non è la trascrizione precisa, ma da intendersi fondamentale è la libertà da vincoli della decisione).


In sostanza, guardando alla Polis, si tratta di una comunità autarchica in cui liberato dal vincolo dei bisogni biologici hai modo di compiere decisioni non vincolate dal soddisfacimento dei bisogni primari.
Il concetto che chiaramente a noi interessa, è nella parte più moderna che permette di categorizzare al meglio, lasciandoci alle spalle le idee precostituite che il termine “stato” con sè porta. “Comunità di individui liberi che determinano il proprio futuro tramite decisioni e scelte non vincolate”(In un certo senso ci avviciniamo anche al concetto di “Sovranità”). Queste decisioni e scelte sono le decisioni politiche, che riguardano la dimensione esistenziale di ogni individuo posta davanti ad un gruppo di pari, vivendo in uno stato di comunanza sotto vari aspetti.
E’ come agisce l’individuo nella comunità politica che è oggetto della analisi descrittiva politica. Come egli si associa (o dissocia) con i suoi pari affinché si possa intraprendere un’azione decisiva comune per uno scopo determinato.
L’importanza è in tutto questo, sostanziale, nell’analisi politica parlare di comunità e non tanto di “Stato”, in cui tutte queste sfumature si dissolvono, nella teologia dello Stato e del Sovrano, di cui avremo modo di parlarne in futuro.
Matteo Laudicino