Le politiche commerciali sono l’insieme di scelte e misure della politica economica di un paese inerente al commercio con l’estero. Quindi, riprendendo la definizione fornita dal ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la politica commerciale si occupa della negoziazione sugli accordi di libero scambio tra Unione Europea e paesi terzi. Gli stati membri supportano l’esecutivo UE in tale materia attraverso il comitato di politica commerciale (cpc). Le politiche commerciali seguono prevalentemente due teorie: il “liberismo” e il “protezionismo”. 

IL LIBERISMO

Nel sec. XVIII  quando gli studi di economia appassionano ormai un grandissimo numero di persone, esse riguardano sempre rapporti economici particolari e s’ispirano immediatamente a determinate situazioni come quelli che invocano la libertà del commercio dei grani o la soppressione dei monopoli. Il liberismo approda a due significati: il primo si lega al semplice concetto di libero scambio e cioè completa libertà nel commercio internazionale e il secondo a quello di una politica economica liberale, per cui l’intervento dello stato nel campo della vita economica si riduca al minimo possibile e l’equilibrio si stabilisce dall’incontro della domanda e offerta. Adam Smith fu uno dei primi a delineare i concetti di “libero scambio” e “individualismo economico”( ciascun individuo deve avere autonomia nel prendere decisioni economiche invece che lo Stato impartisca decisioni). Il liberismo rappresenta quella condizione economica ove va implementato il commercio internazionale e quindi incentivare non solo le esportazioni ma anche le importazioni.

Tutto ciò è utile al fine di allocare benefici a tutti i paesi. Uno fra i liberisti più importanti fu David Ricardo. D. Ricardo è stato un economista britannico e definì la “teoria del valore” ripresa in seguito poi nell’opera “Il Capitale “ da Carl Marx. D. Ricardo fu fondatore della teoria dei costi comparati, sulla quale si basa il liberismo. La teoria dei costi comparati consiste nella partecipazione da parte dei paesi al commercio internazionale, i quali possono ottenere guadagni che derivano dalla possibilità di specializzarsi nelle produzioni con un vantaggio comparato(un costo che un paese sostiene nella produzione di un bene comparativamente minore rispetto al costo che sostiene un altro paese).Ogni paese produce all’interno solo beni per i quali sostiene vantaggi comparati e che scambia con l’estero per acquistare altri beni i quali non conviene produrre perché si sostiene un costo comparativamente maggiore per la loro produzione rispetto agli altri paesi. In assenza di commercio internazionale ogni economia deve produrre al suo interno tutti i beni e servizi, anche per quelli che presentano costi elevati. La teoria dei costi comparati sarebbe ottimale se ogni paese producesse un solo bene che può vendere ad altri paesi che non lo hanno. Tuttavia, nel corso del XX secolo il liberismo è stato influenzato dalla crisi della banca di Wall Street del 1929 ,dalla globalizzazione e  conseguentemente  dalle critiche Keynesiane rivolte al liberismo neoclassico incapace di fronteggiare crisi economiche laddove sarebbe necessario un intervento dello stato per regolare il mercato in presenza di squilibri . Solo più tardi rinacque come “neoliberismo” grazie alle politiche economiche di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan. 

PROTEZIONISMO

Il protezionismo è la teoria antitetica del liberismo. Il protezionismo affonda le sue radici nel saggio “il sistema nazionale di economia politica” composto da Friedrich List nel 1841 dove manifestò la necessità di barriere doganali a difesa di industrie nascenti. Il protezionismo è una teoria che ritiene opportuno ostacolare e/o limitare il commercio internazionale al vantaggio delle produzioni interne del paese. Come ho affermato poc’anzi, questa teoria economica tende a difendere i beni nazionali prodotti anche e soprattutto dalle industrie nascenti minacciate dalla concorrenza straniera (a volte anche sleale, un esempio è il dumping sociale). Gli strumenti della politica protezionistica principalmente  sono tre:1)la “protezione tariffaria” e quindi l’inserimento di un dazio. Il dazio è un’imposta indiretta che il governo applica sui beni che vengono importati dall’estero. Con tale manovra si cerca di proteggere la produzione interna. Gli effetti derivanti dall’applicazione del dazio si possono riscontrare quasi subito: una riduzione del consumo interno di quel bene soggetto al dazio e quindi la domanda interna si riduce; una possibile entrata fiscale per lo stato; per di più aumentando il prezzo, la quantità offerta di quel bene aumenta. Ovviamente c’è qualcuno che viene avvantaggiato e chi meno. Se al prezzo del bene si aggiunge il dazio ,quindi da “P” a P(1+d1), il prezzo va nelle casse dello stato che esporta, invece  il dazio lo incassa lo stato che applica tale politica protezionistica. Con tale politica vengono avvantaggiati i produttori interni che possono vendere tali beni ad un prezzo superiore. Chi viene svantaggiato è il consumatore interno che dovrà sostenere un costo più alto per l’acquisto(effetto redistributivo). 2)”Protezioni non tariffarie” e quindi intendiamo una politica dei “contingenti”. Ciò vuol dire che lo stato (per esempio l’Italia) può vietare l’importazione dall’estero di una certa quantità fisica di beni di un altro paese (per esempio la Cina). Oppure uno Stato può imporre limitazioni all’acquisto di merci estere di un certo paese, limitazioni amministrative e tempi più lunghi per le verifiche doganali. Una politica commerciale protezionistica strettamente collegata a quella dei contingenti è “il requisito di contenuto nazionale minimo della produzione”.

Quest’ultima prevede che un bene possa essere acquistato da paesi esteri soltanto se ha un contenuto minimo, in termini fisici o di valore, di produzione nazionale(tale politica viene intrapresa dai paesi in via di sviluppo).Per incentivare tale politica lo stato fornisce un premio, come sgravi fiscali o esenzione di una tassa, a chi acquista dei beni dalle imprese del proprio paese. 3) Quando avviene la svalutazione/deprezzamento del cambio dell’€, ovvero all’estero costa di più importare e quindi disincentiva l’importazione. Il vantaggio del protezionismo è quello di aumentare la produzione, il lavoro e il reddito all’interno del paese. Il protezionismo si giustifica nel caso nascesse una nuova industria(intesa come settore e non come azienda). In tal caso si avranno economie di scala dinamiche, cioè settori nei quali più si va avanti con il tempo e più si riducono i costi medi unitari di produzione. Nel caso nascesse una nuova industria, il principio dei costi comparati sul quale si fonda il liberismo non sarebbe valido perché l’industria nascente potrebbe iniziare a produrre beni che già vengono prodotti da un’altra industria di un altro paese. Lo sviluppo di un determinato settore grazie al protezionismo all’interno dell’economia puo’ avere effetti positivi (spillover) su altri settori dell’economia nazionale, cioè creare condizioni di sviluppo per altri settori per via delle relazioni interindustriali all’interno del paese. Il protezionismo può migliorare le “ragioni di scambio” e cioè il prodotto tra cambio nominale(e) e il prezzo applicato sui nostri beni esportati (Px) messo a rapporto con il prezzo dei beni importati (Pm). I paesi sviluppati sono spesso minacciati dal basso costo del lavoro esistente all’estero(cheap labour).Tale problema si chiama “dumping sociale” e cioè la forma di concorrenza sleale che viene esercitata da molti paesi in via di sviluppo , in virtù del fatto che il costo del lavoro in essi sarebbe basso per effetto della scarsa protezione sociale dei lavoratori.

Il protezionismo  è una teoria economica pericolosa che potrebbe anche provocare danni ,a volte irreparabili. Un’analisi più completa del protezionismo ci permetterebbe di prevedere i dazi che poi verranno imposti anche sulle produzioni del paese nazionale. Un banale esempio è quello dell’America con la Cina nell’era Trump. La prima  applicò dei dazi sui prodotti cinesi esportati in America e di conseguenza la seconda inserì dei pesanti dazi sui numerosi beni americani esportati in Cina, ne scaturì una guerra dei prezzi. Con la guerra dei prezzi entrambi i paesi o almeno uno dei due rischierà di vedersi aumentare l’inflazione con un forte e probabile calo del potere d’acquisto da parte dei consumatori. Un ulteriore svantaggio del protezionismo è che una volta tolte le politiche protezionistiche su alcuni settori ormai stabilizzati, le imprese di tali settori si ribellano al fatto che non possono più vantare una vendita a prezzi maggiori a causa dell’eliminazione del dazio. In conclusione , io sono dell’idea che un grande paese come l’Italia necessita di lievi e accurate politiche protezionistiche adeguate(senza innescare conflitti commerciali internazionali) laddove i nostri settori relativi all’agricoltura ,alle grandi industrie, al settore della moda, all’arte, al nostro cibo e tanto altro che rappresenta l’identità, la cultura e la storia di questo paese … vengono continuamente minacciati da imprese straniere di tutto il mondo per accaparrarsi solo cospicui profitti e riprodurre malamente ciò che solo la nostra terra e il nostro grande popolo sa costruire. Ma sono anche dell’idea che l’Italia necessita di appositi scambi internazionali e quindi una politica liberista studiata, concentrandosi sullo scambio di numerose materie prime che la posizione geografica dell’Italia non permette di fornire. Con tali scambi l’Italia può trarne vantaggio nelle sue industrie e divenire economicamente più forte.

Nonni Andrea