Il 30 dicembre 2022 il presidente russo, Vladimir Putin, ha avuto un incontro bilaterale con il presidente Cinese, XI Jinping. Nel corso del dibattito, Pechino ha dichiarato: “La Cina è pronta a intensificare la cooperazione strategica con la Russia”. Questa dichiarazione da parte della repubblica del dragone ha fatto confermato la vicinanza strategica tra Pechino e Mosca nello scacchiere delle relazioni diplomatiche mondiali prospettando, visto le situazioni di tensione nel mondo, l’inizio di una nuova guerra fredda tra il blocco occidentale e i paesi che la Russia sostiene (Siria, Bielorussia, Iran e Serbia) e con cui coopera (Arabia Saudita e Cina). Il 21 febbraio 2022, come tutti sappiamo, il presidente della federazione russa, Vladimir Putin, ha deciso di riconoscere le due repubbliche nella regione del Donbass nel territorio appartenente alla repubblica Ucraina, ricco di materie prime (carbone, petrolio, ferro, gas e uranio). Questa azione, in seguito alla successiva invasione, del presidente russo, ha provocato una serie di effetti da parte della comunità internazionale, i membri della NATO e la Svizzera (storicamente neutrale) hanno sovvenzionato, fin da subito, la democrazia aggredita dall’invasore russo, scatenando, di fatto, una guerra per procura tra le forze libere e democratiche dell’alleanza del nord atlantico e la Russia. Conflitto a cui la comunità internazionale non riesce a trovare una soluzione definitiva è quello tra Palestinesi (di religione musulmana sunnita) e Israeliani (di religione ebraica) in medio oriente, che nonostante i vari accordi firmati tra le due parti (possiamo ricordare gli accordi di Oslo nel 1993) non riesce a trovare una stabilità duratura.

La Palestina, che ad oggi è riconosciuta da 138 paesi nel mondo collabora con diverse formazioni militari e paramilitari considerate dagli USA e Unione Europea come “terroristiche”, tra questi: Hezbollah, Hamas, la Jihad Palestinese e l’Iran. Quest’ultima nazione, oltre a privare dei diritti fondamentali dei suoi cittadini, è coinvolta a sua volta in un’altra guerra per procura, per la supremazia nella regione medio orientale contro l’Arabia Saudita, nello Yemen. Paese della penisola arabica economicamente strategico poiché passaggio obbligato per l’accesso al canale di Suez attraverso il Mar Rosso tramite lo stretto di Bab-el-Manden. Lo stato dello Yemen dal marzo 2015, anno dell’intervento dei sauditi (maggior esportatore di petrolio al mondo affine all’Iran in fatto di diritti umani) insieme ad altri otto stati di religione musulmana sunnita e sostenuti dalla comunità internazionale (USA inclusi), è piombato al centro di una crisi diplomatica scatenata da una guerra civile tra il governo di Abd Rabbo Mansur Hadi (sunniti) e separatisti Houthi (sciiti). L’Arabia Saudita (sunniti) attraverso il suo intervento decise di combattere affianco al governo Hadi, mettendo al sicuro la rotta delle proprie petroliere attraverso il canale di Suez, contro i separatisti Houthi appoggiati dall’Iran (sciiti). Paese persiano che blocca la rotta commerciale del paese Saudita nello stretto di Hormuz, all’entrata del golfo persico. In questo conflitto tra sunniti e sciiti ricco di dissapori tra le due nazioni contendenti, c’è una terza posizione, quella degli Emirati Arabi Uniti e una quarta, quella di Al-Qaeda.

Continente asiatico che vede anche altre situazioni di estrema tensione, come nella penisola coreana, che dà dopo la fine formale, poiché non è stato mai firmato un trattato di pace, della guerra di corea nel 1953. Oggi il 38° parallelo divide attraverso una zona demilitarizzata lunga 250 km, due mondi completamente diversi, a nord, il regime comunista di Pyongyang (da sempre legato alla Cina e Russia), a sud, il capitalista e globalizzato mondo di Seul (più vicino ad USA e UE). Estremo oriente, che vede la repubblica di Taiwan legittimi eredi della repubblica di Cina, costretti a rifugiarsi per via della guerra civile sull’isola di Formosa, e la Repubblica Popolare di Cina che con la frase di Deng Xiaoping (presidente della repubblica popolare cinese dal 1978 al 1992) “Un paese, due sistemi” si fece garante dello status quo della regione. Cina che abbandonò il sistema economico comunista tradizionale e diventò una potenza economica inattaccabile per via della sua manodopera a basso costo e ingenti investimenti in Europa e Stati Uniti. Condizione che ha reso la patria di XI Jinping a sentirsi autorizzata a sorvolare con 71 aerei militari lo spazio aereo dello stato con capitale Taipei. Dall’ Asia all’Europa, nella penisola balcanica dove la guerra tra Serbia (storico amico della Russia fin dall’inizio della prima guerra mondiale) e Kosovo (regione serba a maggioranza albanese) si è riaccesa. Nonostante il Kosovo si sia dichiarato indipendente nel 2008, la Serbia, rimasta ai tempi della Jugoslavia di Milosevic, rivendica la sovranità sulla regione come fece nell’occasione nella dissoluzione del regime comunista di Tito.

Oggi il Kosovo è riconosciuto da 98 paesi su 193 appartenenti all’ONU, Italia compresa. L’impossibilità di parlare in un articolo tutti gli scontri tra occidente e oriente, ci costringe a dire che sono molte altre soprattutto in Africa (dove la Cina ha fatto ingenti investimenti) e in Asia i cui i sui effetti ne avvertiamo ogni giorno sulle nostre coste meridionali. È proprio per risolvere questo problema che il presidente del consiglio Giorgia Meloni si è impegnata (con un intervento lungimirante e pacifico) a rilanciare, attraverso la creazione di posti di lavoro, un piano Mattei (da Enrico Mattei presidente dell’ENI dal 1953 al 1962) per il continente Africano. Riducendo più possibile lo sfruttamento delle fonti di finanziamento (come l’estrazione di petrolio e il gas) di questi gruppi paramilitari o terroristici operanti in Libia, Mali, Costa D’Avorio, Nigeria, Angola, Mozambico. Se realizzato, il governo italiano, a nome di tutti i cittadini occidentali e liberi, darebbe un messaggio di cooperazione con i governi legittimi locali e di aiuto umanitario (superiore a quello delle ONG) soppiantando le ingerenze orientali e le guerre con un clima di pace e prosperità, terreno fertile per esportare una democrazia duratura nel tempo anche in Africa. Come abbiamo raccontato nel corso di questo articolo bisognebbe approcciare ai conflitti con una visione più ampia e meno frettolosa, ricordando che sono i civili e i militari in prima linea a rimetterci la vita e non loro generali o i comandanti. Una cosa è certa è compito della classe politica mondiale, in rappresentanza del popolo che essi rappresentano, impegnarsi per trovare soluzioni di pace durature tramite la diplomazia, metodo che ha portato l’occidente a vincere la guerra fredda e a sconfiggere i regimi comunisti del patto di Varsavia.
Aljosha Bromuro