Avente la stessa origine etimologica del termine “genitor” (colui che genera), come anche del greco “ghenos” (lat. “genus”, il principio ereditario), il Genius può essere considerato, secondo il grammatico Varrone, il dio che sovrintende e ha il potere di generare tutte le cose; al contrario, Censorino lo definisce come il dio che tiene sotto tutela chi è generato. Non era un vero e proprio dio, in quanto creatura aleatoria che vive tra il mondo divino e umano, riconducibile al “daìmon” greco che, secondo Socrate, è uno spirito-guida che assiste l’uomo nelle sue decisioni. Certamente un genius era proprio anche delle donne, che potevano vantare un’altro tipo di divinità tutelare analoga che le fonti chiamano Iuna. Nei larari (luoghi di culto domestico), i Genii erano raffigurati come serpenti, talvolta anche alati, per la duplice valenza positiva e negativa dell’animale, al quale era riconosciuta da parte degli antichi la facoltà della saggezza, oltre ad essere simbolo antichissimo della Madre Terra, e dunque della procreazione.
Si ipotizza che i Genii fossero venerati ancor prima delle divinità del pantheon classico, facendo questi parte di una ancor più ancestrale religione animistica. La loro proverbiale saggezza e il loro essere al di sopra di qualunque passione ha fatto sì che venissero rappresentati con corpo o piedi alati, caratteristiche che non a caso furono poi attribuite a divinità come Mercurio, il messaggero degli dei, e la dea Victoria.


Così Platone nel Simposio parla di Eros, considerato dal filosofo un vero e proprio Demone: “Eros è un gran Dèmone, o Socrate: infatti tutto ciò che è demonico è intermedio fra Dio e mortale. Ha il potere di interpretare e di portare agli Dèi le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli Dèi: degli uomini le preghiere e i sacrifici, degli Dèi, invece, i comandi e le ricompense dei sacrifici. E stando in mezzo fra gli uni e gli altri, opera un completamento, in modo che il tutto sia ben collegato con sé medesimo”. Ma il Genius non era solo personale e accompagnava il mortale dal giorno della sua nascita, infatti dalla letteratura capiamo che non v’era casa (Lari) o luogo (Genius Loci) che non fosse sotto la loro tutela.
Secondo il grammatico Servio Mario Onorato “nullus locus sine Genio” (nessun luogo è senza un Genio).


Accanto ai Genii dei singoli, ci sono i genii delle singole famiglie, Genius familiaris, da cui, in modo più esteso, la Gens, o delle comunità, come il Genius Populi Romani.
Il Genius Loci era, dunque, la divinità protettrice di un luogo ma allo stesso tempo poteva proteggere tutti quelli che vi abitavano o vi transitavano. Ogni luogo aveva un suo Genius, che poteva aiutare o essere ostile, a seconda dell’atteggiamento dell’individuo verso il luogo. Devastare un luogo, o appropiarsi delle sue risorse in modo indiscriminato poteva inimicare il Genius Loci, come pregarlo, rispettarlo e fargli offerte poteva renderlo propizio.
Il Genio Romano è aldilà delle passioni ma non nega il corpo, anzi lo protegge e lo invita al godimento con la saggezza della moderazione. Il principio di saggezza romano è la Continenza, il godere di tutto rifuggendo dagli estremismi dell’esaltazione.


Nel periodo imperiale a cominciare da Augusto, il quale comprese per primo le potenzialità politiche di questo culto, istituì in tutto l’impero occidentale la venerazione del suo Genio accanto a quella della dea Roma. Mentre in Oriente, data la sua millenaria tradizione di re-divinità, il culto dell’imperatore poteva svilupparsi senza problemi nelle forme ormai consuete delle monarchie ellenistiche assolute, in Occidente, dove la sensibilità religiosa era ben diversa, Augusto trovò il modo di imporre un proprio culto senza andare contro le usanze repubblicane e anzi rispolverando un culto che per decenni si svolgeva ormai quasi esclusivamente in modo privato, e rendendo pubbliche le celebrazioni a lui dedicate.