Quando si parla di scuola e università, più o meno tutti sono concordi nel ritenere che queste presentino ormai problematiche sostanziali. C’è chi pone l’aspetto sulla mancanza di fondi destinati a questo settore, cosa che inevitabilmente va ad inficiare sulla qualità dell’istruzione, chi accusa gli studenti di essere poco colti e di essere privi delle minime competenze. Nessuno, però, evidenzia il problema primario, ovvero la causa scatenante del tutto, che altro non è che il progressismo. A farlo ci ha pensato il sociologo Luca Ricolfi, il quale nel suo ultimo libro ha minuziosamente analizzato i danni della scuola progressista. Tutto inizia nel periodo successivo al ’68 e una serie di interventi legislativi ha contribuito ad abbassare il livello dell’istruzione e a rendere la scuola una grande azienda piuttosto che una palestra di formazione.

Chi volesse approfondire può consultare i numerosi articoli disponibili online, nei quali il saggio del sociologo viene spiegato e discusso proprio dall’autore stesso nelle numerose interviste rilasciate. Quello che interessa a noi è delineare un quadro che, sicuramente in linea con molti concetti espressi da Ricolfi, oltre a entrare nello specifico della vicenda, possa comunicare, da un punto di vista conservatore e di Destra, il legame indissolubile che intercorre tra le idee che dominano la scuola italiana e il degrado della stessa. È altresì utile tracciare il profilo dei grandi soloni moralisti che, per esempio, parlano di “analfabetismo funzionale”, mentendo, insultando chi non vuole votare i partiti progressisti e postcomunisti e senza avere la caratura morale adeguata.

I numeri parlano da soli: la maggior parte dei ragazzi, oggi, quando termina il ciclo di istruzione, ha scarsissime basi di cultura generale e sa ben poco delle discipline studiate in circa 13 anni, considerato l’intero percorso formativo. Come mai ciò avviene? Tanti adulti tacciano i giovani di oggi di ignoranza e rimpiangono i bei tempi. Omettono, però, furbamente che la responsabile del degrado culturale della gioventù è quella classe di docenti formatasi nel brodo di cultura comunista e sessantottina, che mai ha voluto rinnegare e di cui mai si è pentita.” La meritocrazia è un cancro”, “tutti siamo uguali”,” il professore non è superiore agli studenti”, ” 6 politico a tutti”. Qual è il risultato? Oggi, nessuno  può essere bocciato, né alle elementari, né alle scuole medie, né, ormai, alle scuole superiori. Se la filosofia di base è ” la bocciatura crea discriminazioni”, è ovvio che poi in tanti non possiedano le minime basi dell’istruzione. La fatica è qualcosa che la natura umana istintivamente vuole evitare, se, però, un giovane trova qualcuno che gliela fa affrontare e sperimentare, impara a comprenderne il valore e il piacere che ne derivano

La società contemporanea è piena di tuttologi e qualunquisti, tutti possono parlare di qualsiasi cosa, anche senza conoscerla e senza avere le competenze professionali. Quante volte abbiamo sentito gente dalle simpatie politiche abbastanza note proferire queste parole? In parte hanno ragione, sono però completamente in errore sul merito delle cause e sulle soluzioni. Se, oggi, l’autorità non è più rispettata è perché c’è qualcuno che in tempi non sospetti ha messo sotto accusa e sotto attacco qualsivoglia forma di gerarchia, non perché esiste il demagogo Salvini. A demonizzare determinate figure dirigenziali dal dopoguerra in poi non sono stati forse gli accaniti sostenitori dell’ideologia comunista? Non deve, quindi, sorprendere che un genitore dopo decenni in cui si è propagandata una certa mentalità si senta in diritto di contestare la valutazione di un professore nei riguardi della preparazione del proprio figlio.

“Le raccomandazioni sono numerose, non vanno avanti i migliori” ma i più fortunati e i privilegiati”

Uno degli scopi delle rivoluzioni del ’68 era combattere queste degenerazioni. Se, però, si impedisce di essere severi nella valutazione e si ricorre alla scuola come mezzo per diffondere certe idee politiche, è normale che prevalga il sistema delle raccomandazioni. Uno studente meritevole non deve essere posto sul piedistallo per la preparazione dimostrata, ma, dal momento che una selezione deve persistere necessariamente, si percorreranno altre vie. Il baronaggio nelle università è figlio, infatti, di una strisciante gestione del potere che, per anni, ha selezionato la classe dirigente sulla base dell’ideologia e della vicinanza e affinità ai partiti. Una società giusta fornisce gli strumenti economici alle persone meritevoli ma dalle scarse risorse materiali, senza attuare alcuno sconto sull’impegno; questo era, per esempio, uno dei presupposti della riforma Gentile che, al posto di essere integrata e aggiornata al mutar dei tempi, è stata completamente destrutturata. E proprio alla distruzione sostanziale di questa va attribuito il calo enorme di iscritti al liceo classico. Le discipline umanistiche, infatti, sono costantemente demonizzate e messe sotto attacco. A che servono? “Non mangio con queste”. Ormai la formazione utile è quella tecnica, etc. Il risultato è che il latino e il greco sono sempre di più discipline elitarie, altra contraddizione del pensiero liberalprogressista, e la letteratura italiana e la storia, studiate, almeno sulla carta, in qualsiasi scuola, sono scarsamente conosciute. La responsabilità di chi è se non di chi  detiene il primato culturale da un cinquantennio più o meno?

Se, poi, il messaggio che quotidianamente il Sistema fa passare è frutto dell’individualismo e del relativismo culturale e tutto ciò che ha un’aria etica e valoriale viene osteggiato e sbeffeggiato, e parole come patria, passato, radici e identità vanno bannate, perché un ragazzo dovrebbe essere interessato a studiare i padri del pensiero occidentale? Se la cultura viene usata come una clava contro il popolo, perché l’uomo della strada, che un tempo era idolatrato dai comunisti, dovrebbe comprenderne il valore? Se per anni, a causa del comunismo, si è detto che lo stato doveva fondarsi esclusivamente sul minimo indispensabile indistinto per tutti, che la religione e altri ideali tradizionali  non erano che dogmi atti a generare un clima di oppressione e disuguaglianza, perché oggi dopo anni di lavaggio del cervello si dovrebbero apprezzare Omero, Platone e Dante? Come si potrà percepire il legame che intercorre tra noi italiani ed europei e quei grandi uomini?

Vero è che i profeti del pensiero liberal spesso sono dotti ma tutto è legato ad una visione distorta dei volumi che leggono e alla ricerca costante di un’autorità che consenta loro di essere sopra le parti e completamente avulsi da critiche. Quando due cose sono, però, in netta contraddizione, in questo caso le materie umanistiche e le dottrine ieri comuniste oggi progressiste, il cortocircuito emerge e i penosi risultati non tardano ad arrivare. Per capire, si provi a conciliare- impresa impossibile, ovviamente- Benigni che legge magistralmente- bisogna ammettere- la Commedia di Dante Alighieri, col Benigni liberal, il quale vuole che nulla possa essere giudicato o valutato, salvo quello che “ti cambia qualcosa”,come se la nostra cultura millenaria si fondasse non sulla filosofia, sull’etica, sulla teologia e sulla spiritualità ma sul mero utilitarismo.

Morale della favola: la nostra istruzione è decaduta per colpa di gente che quotidianamente si erige a paladina della cultura e dello scibile umano e che si permette di far ricadere sulla Destra le proprie colpe e vergogne. Essa, tuttavia ha delle responsabilità, non quelle che le vengono attribuite, ma nella comunicazione e nel non parlare a sufficienza dei temi che abbiamo fin qui affrontato; è per tale motivo che ci occuperemo nuovamente della questione, proponendo agli esponenti politici di Destra e ai vari giornalisti e professori di pensiero conservatore, tradizionalista e patriottico, delle soluzioni efficaci che possano rivoluzionare il nostro sistema scolastico e universitario, restituendogli il peso che merita.