In periodo di campagna elettorale i partiti, i giornali, i vari opinionisti dell’area politica di centrosinistra polemizzano su qualcosa e, quasi sempre, inventano problemi per indurre la gente a non votare altri che non siano loro. Uno degli ultimi cavalli di battaglia è la lotta alle raffigurazioni sessiste del genere femminile. Trattasi non di una novità, visto che non è la prima volta che taluni discreditano la cultura nazionale e quella occidentale in genere definendola gretta e patriarcale, salvo, poi, restare in silenzio in merito a situazioni sfavorevoli alla loro propaganda. Tuttavia, recentemente, è avvenuta una cosa che, da una parte, ci lascia esterrefatti ma che, dall’altra, conferma quanto avevamo detto non molto tempo fa. La sinistra italiana sta prendendo la via dell’iconoclastia e della cancel culture. Il non essere in grado di condannare i gesti di quanti in Europa e negli USA si sono impegnati negli ultimi due anni a deturpare opere d’arte e ad abbattere le statue era inquietante. Oggi sappiamo con assoluta certezza da cosa nasceva. Perché sia chiaro a tutti, basta ripercorrere questa breve storia. 


A Sapri, in provincia di Salerno, la settimana scorsa, è stata ufficialmente inaugurata una statua che raffigura la Spigolatrice, al cospetto degli esponenti delle istituzioni. Trattasi di un’opera che si ispira ad un dipinto realizzato dal pittore francese Millet ed esposto nel salon parigino nell’1857. In quella tela sono raffigurate delle donne intente a raccogliere delle spighe. La realizzazione della statua, invece, ha un intento differente, come è logico che sia, quando si parla di arte, che non sarebbe tale, se non risentisse della personalità e del carattere dell’artista. In ossequio ad una tradizione secolare che parte dall’arte classica, che rinasce nel periodo umanistico e che trova nuova vitalità nella corrente del neoclassicismo, il cui esponente di spicco fu Canova, ecco l’immagine di una donna prosperosa, nel culmine della sua bellezza.







Non starò qui a discutere di dettagli tecnici, non essendo questa la mia professione, ma non si può negare quanto fin qui scritto, almeno per chi ha studiato la storia dell’arte nelle sue linee essenziali. Certamente raffigurare una donna umile, generalmente ignorata dai letterati e dagli artisti, almeno fino al XIX secolo, con gli attributi della bellezza, è qualcosa di straordinario. Purtroppo, per certo femminismo, con a capo Laura Boldrini, sarebbe un’offesa al genere femminile e uno stereotipo sessista e maschilista. Al che sorgono spontanee due domande; la prima elementare con altre consequenziali che smonta agevolmente la ragione del contendere: Perché? A meno che per i progressisti parità non significhi occultare le pudenda, alla maniera talebana, il loro discorso è assolutamente infondato. Se per loro parità vuol dire privare il genere femminile delle differenze da quello maschile, gli odiatori delle donne sono loro. Per difenderle ci deve essere qualcosa che le renda donne, altrimenti, è più semplice e meno ipocrita ricorrere alle tesi dei relativisti più estremi, i quali negano l’esistenza di ogni tratto identitario, anche di quelli che dovrebbero essere scontati. Inoltre, la tradizione artistica italiana ed europea, in genere, porta anche numerosi esempi di uomini atletici, guerrieri, assolutamente prestanti fisicamente. L’uomo moderno che non possiede tali connotazioni dovrebbe considerare lesa la propria dignità? La seconda domanda è la seguente: viste le tante sculture e immagini di donne di tale portata nell’arte di tutti i tempi, come sopra accennato, si deciderà di rimuoverle o di distruggerle? Evidentemente sì, soprattutto se colleghiamo il tutto a una politica che, negli ultimi tempi, si è sistematicamente dedicata ad escludere case editrici dal Salone del Libro, ad impedire l’organizzazione dei convegni, a proporre l’abbattimento della statua di Montanelli, D’Annunzio e dei monumenti realizzati nel ventennio, apprezzati a livello artistico da qualsiasi critico d’arte, anche perché da tenere separati dalla politica, a tentare di occultare una pagina gloriosa della storia di Italia, quale quella della vittoria nella Grande Guerra, e ad attaccare de Pasquale da direttore nazionale della Biblioteca di Roma e da dirigente degli Archivi di Stato. Per il momento, non hanno il coraggio di dichiararlo apertamente ma stanno preparando il terreno. Per tale ragione, chi non vuole che la cultura scenda definitivamente nel baratro deve essere pronto a reagire contro questi iconoclasti, portatori di nuove forme di barbarie.