La Storia di Roma antica, complessa ed estesa nel tempo, è caratterizzata da più eventi significativi che hanno mutato la condizione di parte del mondo allora conosciuto. Con ogni sicurezza, le Guerre Puniche meritano l’attenzione che si riserva a un accadimento straordinario, in quanto, soltanto dopo aver completamente piegato la potenza marittima di Cartagine, Roma sarà egemone sul Mediterraneo, costruendo le basi per quello che sarà il mondo latino e l’Europa per i secoli successivi. Ciò è dovuto anche al mutamento delle tecniche militari; prima del conflitto con Cartagine, Roma aveva sperimentato scontri via terra e non era dotata di una flotta navale adeguata. La furia nemica, il metus hostilis, per usare un’espressione dell’autore latino Sallustio, si manifesterà come sprono fondamentale in numerose circostanze, compresa quella di adeguare i mezzi e le risorse militari, senza i quali, non sarebbe sussistito alcun cambiamento radicale della Storia.

Le guerre puniche furono tre: la prima fu combattuta dal 264 al 241 a.C e si concluse con la vittoria di Roma; la seconda dal 218 al 202 a.C e la terza dal 149 al 146 a.C., entrambe vinte dai Romani.

Partendo dalle premesse, cosa ha condotto Roma e Cartagine alle armi? Secondo quanto ci narra Virgilio nel suo poema epico “Eneide”, l’ostilità eterna tra i due popoli fu causata dalla nefanda maledizione che Didone, regina di Cartagine, lanciò su Enea e sulla sua discendenza, dopo che quest’ultimo l’aveva abbandonata, pur essendo profondamente innamorato di lei, anteponendo, da uomo “pius”, il volere degli dei alle sue passioni personali, per andare in quella terra dove sarebbe esistita la città eterna. Racconto certamente sensazionale che delinea il profondo senso di spiritualità, etico e di devozione ad un ordine immortale del popolo romano. Quanto, però, noi possiamo descrivere da un punto di vista strettamente storico parte dai primi trattati stipulati tra le due città.

Roma e Cartagine nascono, secondo la tradizione, vicine nel tempo, rispettivamente, Cartagine nell’814 a.C, Roma nel 753 a.C. Per quanto sembrasse intercorrere pace tra i due popoli, fin da quando fu firmato il primo dei quattro trattati, una certa tendenza di Cartagine ad insuperbirsi era più o meno palese. Il trattato al quale va rivolta maggior attenzione è il quarto, stipulato nel 279 a.C.
Esso è, in un certo senso, il preludio al conflitto, nonostante nasca come alleanza contro Pirro re dell’Epiro, dopo che questi venne chiamato rispettivamente da Taranto, impegnata contro Roma, e da Siracusa, impegnata contro Cartagine. Pirro, sarà, poi, definitivamente sconfitto da Roma a Maleventum nel 275 a.C, qualche anno dopo ribattezzata dai Romani Beneventum. Il dominio romano sull’Italia centro-meridionale era un dato di fatto ormai incontrovertibile. La Sicilia, invece, era divisa tra l’influenza dei Punici ad ovest e l’influenza di Siracusa ad Est. Roma e Cartagine cominciarono a temersi sempre più intensamente.

Il “casus belli” risale alla cosiddetta questione dei Mamertini, i mercenari osco-campani. Per molto tempo essi erano stati al servizio del re di Siracusa Agatocle. Egli muore nel 289 a.C e, a quel punto, intravedono una possibilità per impadronirsi della città. Il tentativo fallisce e decidono, quindi, di ripiegare le proprie aspettative su Messina. Ben presto si trovano in difficoltà e decidono di chiedere aiuto ai Cartaginesi che riescono a sconfiggere Siracusa. I Mamertini, però, non tardano a stancarsi di subire la presenza militare di Cartagine e ritengono per loro più vantaggiosa e naturale un’alleanza con Roma, a riprova del futuro ruolo di guida di Roma sull’Italia e dell’unità culturale e, poi, etnica che si andava delineando. A Roma si apre un lungo dibattito interno sull’opportunità di accorrere in aiuto dei Mamertini. I Romani decidono di agire e la guerra con Cartagine ha ufficialmente inizio nel 241 a.C. La maggior parte delle battaglie della Prima Guerra Punica viene combattuta via mare, come sopra accennato. Roma, inferiore sotto il profilo marittimo a Cartagine, adotta uno stratagemma per combattere in modo ottimale. Tramite l’utilizzo del “corvo ” di cui erano state dotate le navi romane, tramite il quale queste potevano essere agganciate alle navi nemiche, la fanteria riesce a combattere in base alle proprie abitudini e conoscenze; il maltempo frequente distrugge numerose flotte di entrambi gli schieramenti. Non mancano, tuttavia, gli scontri sulla terraferma e Roma in tali contesti si rivela invincibile. La più importante operazione terrestre è quella ideata da Marco Attilio Regolo, il quale porta il conflitto in Africa tra il 256 e il 255 a.C. Cartagine subisce delle cocenti sconfitte e tenta di ottenere la Pace da Roma. Dopo un po’, però, Cartagine riprendee le forze e la guerra prosegue. Decisiva è la battaglia delle Isole Egadi del 241 a.C vinta dai Romani. Il termine della prima guerra, dalla durata più che ventennale, è, ormai, sancito.


Dopo un periodo non particolarmente duraturo di relativa tregua, nel 218 a.C si riaccendono le ostilità che conducono ad un secondo conflitto. Questo, a differenza del primo, si distingue per l’ingegno di grandi strateghi i quali, infatti, caratterizzano con il proprio carisma e fascino la storia di Roma.


Il casus belli è l’invasione di Sagunto, distrutta e saccheggiata. Essa era alleata di Roma, ma posta al sud dell’Ebro, quindi, entro i confini cartaginesi. Il responsabile di questi atti è il generale punico Annibale. Roma invia un ultimatum a Cartagine, affinché sconfessi Annibale, ma questa si rifiuta e, a quel punto, i Romani dichiarano guerra. Annibale arriva dapprima nella Pianura Padana, nella speranza di portare dalla sua parte le popolazioni galliche, e sconfigge le truppe romane in due battaglie sul Ticino e sulla Trebbia. Poi, si dirige in Puglia e sconfigge l’esercito romano a Canne. Decide, però, nonostante il netto vantaggio, di non attaccare per nessuna ragione direttamente Roma, che, intanto, viene guidata da Quinto Fabio Massimo, nominato dittatore, come prevedevano le regole della Res Publica in caso di emergenza, quale era una guerra di tale portata. Quinto Fabio Massimo sì guadagnerà, in seguito, l’appellativo di cunctator,” temporeggiatore”, avendo adoperato come tattica il logoramento del nemico, consistente nel non affrontarlo direttamente. Tattica che, poi, si rivelerà vincente.

Annibale


In seguito Roma porta il conflitto in Spagna, sotto la guida degli Scipioni. Prima con i fratelli Publio e Gneo Cornelio Scipione, in seguito con il famoso Scipione l’Africano, figlio di Publio. La Spagna viene conquistata e a poco servono i tentativi di uno dei fratelli di Annibale di riacquisirla. Annibale, dal canto suo, si allea con Filippo V di Macedonia, preoccupato dell’espansione dei Romani in Illiria, vicino ai territori sotto la sua influenza. Roma usufruendo di ottime doti diplomatiche, viene aiutata dal re di Pergamo e, quindi, piega, con pochi sforzi, le truppe macedoni. Il Re Numida Massinissa, inizialmente alleato di Annibale, stringe, poi, accordi con Roma, mentre Annibale, non può contare sul tradimento di nessun alleato italico di Roma. Tutti, infatti, danno prova ineccepibile di fedeltà e di senso di appartenenza. Annibale era ormai lontano dalla sua terra da molto tempo ed era del tutto isolato. Viene richiamato per portare aiuto direttamente a Cartagine, sotto l’assedio di Scipione l’Africano. Nel 202 a.C Annibale viene definitivamente sconfitto da Scipione l’Africano a Zama. Il secondo conflitto è ormai terminato. Roma ne esce rafforzata militarmente e politicamente. Testa la solidità delle proprie alleanze e annette la Spagna ai territori controllati. Il fato che vedeva in Roma città egemone in Italia e sul Mediterraneo si stava concretizzando.


Negli anni successivi, fino allo scoppio della terza e ultima guerra, nonostante Cartagine avesse perso un territorio redditizio come la Spagna, nonostante il suo contingente militare fosse nettamente indebolito, nonostante pagasse a Roma un’indennità e nonostante prestasse soccorso in caso di guerra, secondo Marco Porcino Catone, detto Catone il Censore, per la carica che rivestì in modo saggio, Roma avrebbe potuto essere tranquilla, soltanto se Cartagine fosse stata definitivamente distrutta. Famosa la citazione passata alla storia, quasi da diventare proverbiale, Carthago delenda est. La sua popolazione era incline all’ostilità e al conflitto naturale e primordiale, quindi, avrebbe continuato a causare serie difficoltà. E, in effetti, le previsioni di Catone si rivelano più che fondate. Il casus belli arriva nel 150 a.C; Roma era pressata dal timore della potenza del regno di Numidia. La fazione cartaginese filo-romana viene sconfitta e si reca in Numidia per chiedere al re di intervenire direttamente, facendo rientrare gli esuli in città. Cartagine si rifiuta e si aprono le ostilità con la Numidia; Cartagine è debole e in totale disperazione, perciò manda un contingente di 50.000 uomini, nel tentativo di riacquisire la città di Oroscopa. Tentativo clamorosamente fallito; Roma, a quel punto, era maggiormente preoccupata dall’espansione del regno della Numidia, soprattutto dall’idea che Cartagine potesse essere da questo assorbita. Offre, perciò, aiuto a Cartagine, alla quale, allo stesso tempo, temendo sempre un eventuale riacquisto di vigore, impone di demolire qualsiasi edificio che si trovasse a meno di 5 km dal mare, in modo tale da ostacolarla in qualsivoglia relazione commerciale. Cartagine non accetta l’ordine e Roma le dichiara guerra nel 149 a.C. L’esercito romano giunge ad Utica, luogo che diventerà, molto tempo dopo, famoso per il suicidio di Catone, ( non Catone il Censore), soprannominato appunto l’Uticense, che compì il gesto estremo per non cadere nelle mani di Cesare e che sarà posto da Dante nella “Commedia ” come guardia del Purgatorio. Non appena i cartaginesi si rendono conto delle proporzioni numeriche dell’esercito, capitolano e inviano a Roma trenta ostaggi. I consoli dialogano con gli ambasciatori di Cartagine che viene costretta a consegnare tutta l’armatura. Roma pretende che la città sia distrutta e ricostruita in un luogo più distante ma i punici rispondono con un fermo diniego e uccidono in modo crudele ed efferato gli italici presenti nella città. I Romani, i quali avevano avuto a che fare per molto tempo con le tribù barbariche, erano abituati a questi metodi, che ottennero l’effetto contrario a quello sperato da Cartagine. Il disprezzo e l’odio di Roma nei confronti del barbaro suscita una reazione ancor più violenta, ancor più decisa a distruggere totalmente la città. Intanto i punici riescono a fabbricare un numero considerevole di armi, impiegando anche beni preziosi. La città viene ben custodita e per Roma sembra impossibile entrarvi.

Nel 147 a.C, per merito di Scipione l’Emiliano, eletto console, Asdrubale, che difendeva Cartagine, viene attaccato durante la notte e il porto da cui arrivavano i rifornimenti bloccato. I Romani, intanto, sottomettono altre città, che cadono in sequenza. L’agonia di Cartagine dura tutto l’inverno, fino al 146 a.C, anno in cui viene saccheggiata, distrutta e data alle fiamme. Il porto viene interamente demolito e le mura vengono abbattute. L’ostacolo principale era stato superato da Roma, ormai. Le guerre con altri popoli certamente non cessano ma il suo potere e la sua supremazia non potevano più essere messe in discussione. Tuttavia, guardando l’altra faccia della medaglia, si potrebbe dire che la tranquillità ormai acquisita, aveva generato, in anni futuri, un’eccessiva mollezza di costumi, causa di personalismi e corruzione, come farà notare Sallustio, parlando del Metus Hostilis, ovvero del timore persistente del nemico, definitivamente perduto. Su questo capitolo si tornerà nelle prossime rubriche, eventualmente. Sicuramente la corruzione dilagante, generatrice di una serie interminabile di guerre civili, si rivela la causa primordiale della fine della Repubblica ma non del sole di Roma, destinato a durare molti altri secoli, sotto la guida degli Imperatori.