Definizione

La Destra sociale è un’area politica che raggruppa le ideologie che coniugano i principi della Destra classica e illiberale quali: tradizione, gerarchia e organicità con la giustizia sociale intesa come solidarietà nazionale o comunitaria. Nelle sue forme moderate prevede l’intervento statale nell’economia finalizzato alla correzione del liberismo puro, esempi di questa prima tendenza sono l’Economia post-keynesiana e la Dottrina sociale della chiesa cattolica. Nel suo ramo estremo invece punta all’instaurazione di una “terza via”, alternativa sia al socialismo che al capitalismo, esempi di questa seconda tendenza sono il corporativismo e la socializzazione.

Storia

Dal punto di vista storico, la Destra sociale deve la sua nascita a due eventi centrali dell’età moderna, l’anima sociale affonda le sue radici nella nascita della società di massa con la rivoluzione industriale. Essa sradicò i popoli dalle campagne inghiottendoli nel turbine delle alienanti industrie modene, qui le masse nazionali schiacciate dalle macchine raggiunsero coscienza autonoma e creano i primi movimenti sindacali, quando il marxismo raggiunse l’egemonia in questo contesto, la sinistra non marxista si vide costretta a cercare nuove vie, allora la convergenza con i movimenti Nazionalisti e anti-comunisti sorti nelle trincee fu inevitabile, a tal proposito va ricordato il grande apporto che il sindacalismo rivoluzionario portò al sansepolcrismo.

L’anima di destra nasce invece sotto Il fuoco della Prima Guerra Mondiale che forgiò un’élite futurista e rivoluzionaria che si fuse con l’Aristocrazia intrisa di Tradizionalismo anch’essa reduce dalle Grande Guerra. Un uomo nuovo deciso a porre fine tanto al nichilismo bolscevico quanto alla borghesia che aveva provocato la decadenza da cui era sorta la Grande Guerra. Nella nascita di quest’uomo di trincea l’Arditismo fu centrale, tanto che la fiamma simbolo degli arditi diventerà anche il simbolo per antonomasia della Destra sociale. In trincea nascerà anche un senso reale di Nazionalismo, per quanto già riscontrabile nella letteratura Romantica, la trincea creerà unità in un popolo costretto a difendersi da un nemico esterno.

A San sepolcro questa élite ideale e militare, composta da nazionalisti antiliberali, sindacalisti rivoluzionari, dannunziani, arditi e tradizionalisti, forgiò un’idea comune di Nazione da incarnare, dopo l’uomo nuovo lo stato nuovo. Malgrado la costruzione ideale, nel movimento fascista rimasero in essere più anime: quella più vicina alla grande borghesia, moderata e poco disposta alle riforme, quella destinata a incarnare l’approccio sociale, quella movimentista e militare, ancorata all’approccio da rivoluzione permanente ed infine quella tradizionalista radicalmente critica riguardo alle scelte politiche adottate.

Il messaggio della corrente sociale sopravvisse per tutto il Ventennio, mantenendosi in una posizione subordinata, dovuta alle necessità belliche che non permisero l’attuazione della legislazione corporativa, ma raccogliendo consensi specialmente tra i più giovani. Sebbene subordinata, essa non fu irrilevante e raggiunse la massima centralità con la “socializzazione” delle imprese, proclamata durante la Repubblica Sociale Italiana, anche se invisa e osteggiata da Berlino.

Idee proprie della destra sociale vennero riproposta anche nella Costituzione del 1948 grazie soprattutto all’ala sociale della DC, a riprova della diffusione che esse ebbero. Centrale l’articolo 46 della Costituzione, peraltro mai concretamente attuato:

“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”

Dopo la fine della guerra, il Movimento Sociale Italiano ripropose i principi della Destra sociale, seppur nelle sue diverse correnti: quella più filo-borghese e filo-americana rappresentata da Michelini, quella propriamente sociale rappresentata da Pino Romualdi e poi da Rauti. La sintesi di queste due correnti fu Giorgio Almirante che trovò nel nazionalismo, nel corporativismo, nel presidenzialismo, nell’anti-regionalismo e nei richiami alla socializzazione, i temi capaci di unire le singole componenti. Operando fuori dall’arco costituzionale, centrale fu l’opposizione al sistema oggi sostituita dall’opposizione ai singoli governi.

Successivamente Alleanza Nazionale, che avrebbe dovuto portare la destra sociale nel nuovo millennio, emancipandosi da vecchi simboli ormai poco più che folkloristici, falli il suo obbiettivo trasportata da Gianfranco Fini su posizioni liberali fino ad arrivare alla disastrosa esperienza del PDL. All’interno di AN la destra sociale si auto-organizzò in una corrente specifica. Con l’uscita dal PDL la fiamma sociale torna a bruciare sulle bandiere di Fratelli d’Italia. Oggi la destra sociale è un’area politica minoritaria all’interno del centro destra e più marcatamente presente nella destra extraparlamentare e giovanile.

Principi

I principi variano molto a seconda dell’ideologia specifica, comunque possono essere cercati dei fattori comuni. In via preliminare la destra sociale prevede la conservazione degli elementi caratteristici della destra quali il valore della Nazione, la difesa della Tradizione e della identità.

Si caratterizza inoltre per una visione comunitaria, nazionalista o localista a seconda delle varie interpretazioni, importanza concessa anche alle comunità intermedie come la famiglia, le associazioni, gruppi politici, ordini professionali e di categoria.

Ognuna di queste comunità, ritiene debba essere organizzata gerarchicamente a partire da quella nazionale. La gerarchia permette l’organizzazione delle classi generando unità e spostando il nemico all’esterno, eliminando la lotta di classe in favore della lotta interclassista nazionale, aumentando inoltre l’efficienza e la forza della comunità. Senza gerarchia si cadrebbe invece nel collettivismo proprio al socialismo. Lo Stato non è, in quest’ottica, qualcosa di esterno al corpo sociale, bensì l’intero corpo nazionale che lotta per un obbiettivo comune il benessere economico e spirituale ed una visione del mondo.

Rifiuta di conseguenza l’egualitarismo in favore di una visione differenziatrice dell’uomo, differenziazione naturale e meritocratica, nella gerarchia ognuno ricoprirà il ruolo che gli compete venendo tutelato dallo stato e tendendo al miglioramento delle condizioni economiche e sociali, non prescindendo però dal ruolo medesimo, in contrasto con il relativismo marxista in cui non esiste differenziazione.

Ritiene inoltre centrali i diritti sociali quali casa e lavoro, in contrasto con la tendenza imperante nel contesto attuale, di preordinare nella discussione politica i diritti civili delle minoranze. In campo abitativo si propone l’istituzione di enti che si incarichino della costruzione, attraverso il finanziamento pubblico, di abitazioni e quartieri da vendere a prezzi agevolati a famiglie che non siano già proprietarie di una casa ed una massiccia edilizia popolare, con l’edificazione di nuove città, quartieri e valorizzando i borghi storici ed il valore della provincia attraverso il ruralismo.

In campo produttivo difende la centralità del fattore politico su quello economico rendendo necessari un governo forte e decisionista ed un ampio controllo statale nei meccanismi della moneta e dell’economia, che va diretta ma non controllata direttamente come nel socialismo, centrale è un progetto comune, una visione politica che imponga una direzione all’economia nazionale. L’impresa è da riorganizzare in direzione di una collaborazione tra lavoratori che partecipano alla gestione e imprenditore che dirige: conseguenza immediata è la centralità della rappresentanza di categoria, il Sindacato, preferibilmente unico, allora non rinuncia alla tutela dei lavoratori e dei loro diritti, ma li protegge mediando attraverso la protezione dell’interesse aziendale, e nazionale.

Nella forma radicale della socializzazione punta al raggiungimento del socialismo assoluto e del liberalismo assoluto contemporaneamente, attraverso l’allargamento della proprietà privata attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà dei mezzi di produzione, per esempio attraverso l’azionariato popolare ed eliminando il ruolo del prestatore di capitale non amministratore. Tale proprietà privata è quindi anche pubblica in quanto ripartita – non proporzionalmente ma in ragione del ruolo – tra tutta la gerarchia nazionale. Nascerebbe così la proprietà organica.

Sul fronte politico rappresentativo ritiene centrale la partecipazione tutelando i corpi intermedi e valorizzando le forme associative. Questo permette di selezionare da vicino la propria classe dirigente, vista come rappresentanza di categorie e non come rappresentanza politica, da questo punto di vista si comprende la storica proposta missina della camera delle categorie.

Bibliografia

  • Saggi di critica del marxismo, Georges Sorel, 1903
  • Insegnamenti sociali dell’economia moderna. Degenerazione capitalista e degenerazione socialista, Georges Sorel, 1907
  • I fondamenti dell’economia corporativa, Ugo Spirito, 1932.
  • Capitalismo e corporativismo, Ugo Spirito, 1933.
  • Dall’economia liberale al corporativismo, Ugo Spirito, 1939.
  • La questione sociale, Julius Evola, 1979.
  • Sindacalismo e repubblica, Filippo Corridoni, 1945
  • L’ABC dell’economia e altri scritti, Ezra Pound.
  • La quarta teoria politica, Aleksandr Dugin, 2017
  • La destra sociale, Roma, Giano Accame, 1996
  • L’ordine economico naturale, Silvio Gesell, 1958
  • Società, Stato, Comunità. Per un’economia e politica comunitaria, Adriano Olivetti, 1952.