Sin dall’ormai lontano 1945, le prerogative per la costruzione degli stati democratici sono essenzialmente vertute verso la promulgazione di leggi che garantissero il corretto esercizio dei diritti inalienabili e individuali dell’uomo, per ogni categoria esistente e, de facto, in tutti gli ambiti della vita. Non per nulla nei primi 12 articoli della Costituzione Italiana sono contenuti i principi fondamentali del sistema democratico che, naturalmente, neanche il parlamento stesso ha diritto di modificare. Ebbene… si può dire che, da marzo 2020, tutte le convinzioni costituzionali su cui reggeva effettivamente il sistema siano state pressoché abbattute (o quantomeno sospese), causa le restrizioni della gran parte di tali libertà che gli italiani si sono visti imporre dal governo Conte – all’epoca dello scoppio della crisi – e ora dal governo Draghi.

Un fatto fra tutti, in realtà, è risultato maggiormente interessante: infatti, nel periodo della crisi Covid-19 abbiamo assistito a una vera e propria sostituzione di alcuni diritti a vantaggio di altri, come se esistessero, in una certa misura, diritti di serie A e diritti di serie B. Il diritto alla salute, infatti, ha sovrastato qualsiasi altra forma o manifestazione delle altre categorie di diritti, fossero essi all’istruzione, al lavoro, o alla mera libertà individuale o economica. La paura, che ormai alberga nelle dimore della popolazione mondiale, ha depauperato quel processo di totale democratizzazione e libertarismo al quale – lo si voglia o meno – eravamo abituati o, comunque, ci stavamo lentamente abituando. Ed è assai interessante carpire la motivazione di tutto ciò.

Nell’epoca degli stati democratici post-borghesi, infatti, è curioso constatare come gli istinti primordiali degli esseri umani abbiano prevalicato sulla maggior parte delle forme di dominio delle proprie passioni e sulle forme di unione in senso comunitario della società, accentuando in con particolare rilievo individualismi fini a se stessi. Ciò che ne è risultato, nella situazione contemporanea, è stato uno scatenarsi in senso stretto dell’istinto primigenio dell’uomo: l’istinto di conservazione. Esso, naturalmente, si manifesta come una sorta di metafisica della potenza dell’Io, il quale viene elevato a livelli quasi divini, conferendogli la priorità regale e suprema su tutto ciò che partecipi alle nostre vite. Ma, nonostante ciò, vi era chi, dall’alto della propria dimensione onirica, incredibilmente asseriva che ne saremmo usciti come persone addirittura “migliori”; altri, invece, con spirito leggermente più razionale controbattevano questa convinzione affermando l’esatto opposto, e cioè che ne saremmo usciti addirittura più “incattiviti”.

E, a nostro malgrado, forse oggigiorno ciò che più possiamo osservare è che la “vittoria” sia andata in mano a chi sosteneva che la popolazione ne sarebbe uscita peggiore, anziché migliore. L’analogia più diretta che sovviene per spiegare molto banalmente questo fenomeno è proprio quella che rappresenta un animale in gabbia, dopotutto. Infatti, se un qualsiasi animale viene abbandonato all’interno di una gabbia, privato della sua naturale libertà di movimento, esso diverrà o un essere tendente alla depressione, o in alternativa un essere con uno stato di aggressività alterato rispetto alla normalità. Tale aggressività sviluppata dalla popolazione si può notare da piccoli ma significativi gesti, quali ad esempio le segnalazioni alle autorità da parte di cittadini, tese a ledere altri cittadini (in casi talvolta assolutamente assurdi e fuori dal normale, aggiungiamo) . Ma l’assurdità (oltre all’infamia) di un gesto del genere, è tuttavia riconducibile al discorso di cui si discuteva pocanzi. L’istinto di conservazione degli individui conduce gli stessi a scatenare la loro rabbia e frustrazione verso la società civile di cui egli stesso fa parte, poiché ad essa assocerà sempre e comunque la causa di tutti i mali che stanno colpendo il suo personalissimo Io.

 Le brevi considerazioni esposte in questa sede possono risultare utili al fine di carpire come la società attuale approcci alle situazioni e, soprattutto, quali siano i propri principi e punti cardinali. Ciò che tuttavia spesso salta all’occhio è proprio un comportamento incoerente da parte del popolo stesso, oltre che delle istituzioni. Il popolo, infatti, costituisce la componente della massa in un sistema fondato sul consenso massiccio e che, nello spettacolo che va in onda ogni giorno, gioca il ruolo dell’ameba: un essere invertebrato che, istante dopo istante, si conforma alle superfici su cui poggia, senza giudizio o resistenza, poiché la difficoltà di irrigidirsi e resistere nelle singole circostanze comporta un netto sacrificio che, in ottemperanza alla mentalità moderna, se è possibile evitare, è certamente preferibile.