Si dice che il silenzio uccida, bene è esattamente il caso della storia che stiamo per raccontare, è la storia di una potenza che schiaccia un popolo nel silenzio della comunità internazionale. E’ la storia degli Uiguri. Gli Uiguri sono un’etnia turcofona di religione islamica, sono prevalentemente situati nella regione del Turkestan orientale, oggi regione autonoma dello Xinjiang nella Repubblica Popolare Cinese. Nella storia ci sono state due effimere repubbliche autonome del Turkestan orientale ma storicamente la vita del popolo Uiguro è stata costantemente segnata dalla dominazione cinese.

La regione è soggetta a tensioni, dovute sia alle aspirazioni d’indipendenza e al risentimento degli Uiguri nei confronti della repressione della loro cultura, sia all’insofferenza dei cinesi Han che rappresentano il 40% della popolazione regionale nei confronti di tali aspirazioni. Il risentimento degli Uiguri verso il regime Comunista ha occasionalmente provocano incidenti e violenti scontri, nonché la nascita di movimenti indipendentisti anche di matrice Islamica radicale.

Al fine di stabilizzare definitivamente la regione dal 2014 gli Uiguri sono colpiti da durissime misure repressive in puro stile sovietico, obbiettivo l’eliminazione sistematiche di una cultura aliena al pensiero totalitario del Partito Comunista Cinese. Il silenzio è ancora più preoccupante se si analizzano le misure adottate. Tra i 120.000 e il milione di Uiguri sono detenuti in campi di detenzione di massa, definiti ” campi di rieducazione “, volti a mutare il pensiero politico dei detenuti, le loro identità e le loro credenze religiose. Secondo le procedure operative del governo cinese, la funzione principale dei campi è garantire l’adesione all’ideologia del Partito Comunista Cinese. I detenuti restano nei campi per un minimo di 12 mesi, o più a seconda dei risultati nei test di ideologia. Il New York Times ha riferito che i detenuti sono tenuti a “cantare inni che lodano il Partito Comunista Cinese e a scrivere saggi di ‘autocritica’”,  i prigionieri sono soggetti inoltre ad abusi fisici e verbali da parte delle guardie carcerarie. Il governo ha inizialmente negato l’esistenza dei campi, ha poi cambiato versione affermando che i campi servono per combattere il terrorismo e fornire formazione professionale al popolo uiguro

Parallelamente alla detenzione forzata di milioni di adulti, nel solo 2017 almeno mezzo milione di bambini sono stati separati con la forza dalle famiglie e collocati in campi prescolari con sistemi di sorveglianza in stile carcerario e recinzioni elettriche da 10.000 volt. 

Sul piano culturale il panorama è ancora più desolante. Una denuncia dell’ottobre 2018 della BBC News ha affermato, che “centinaia” di scrittori, artisti e accademici sono stati imprigionati, in quello che la rivista ha qualificato come un tentativo di “punire qualsiasi forma di espressione religiosa o culturale” tra gli uiguri. Le prove satellitari suggeriscono anche che la Cina ha distrutto dozzine di siti storici uiguri tra il 2016 e il 2018. 

Già questo basterebbe a mostrare la gravità della vicenda ma purtroppo non basta. Nel giugno 2020, l’antropologo tedesco Adrian Zenz ha pubblicato un rapporto in cui afferma che le donne uigure, sotto la minaccia di internamento, sono state costrette all’aborto, a sottoporsi a sterilizzazione e all’inserimento di dispositivi intrauterini. L’analisi di Zenz ha rivelato che i tassi di crescita nelle regione sono diminuiti del 64% tra il 2015 e il 2018.  Questi cali del tasso di natalità sono in netto contrasto con il calo nazionale cinese che è del 4,2%. Basti sapere che queste gravissime azioni del governo cinese soddisfano i criteri di genocidio dettati della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio.

La comunità internazionale dal canto suo non sembra interessarsi più di tanto, si registra solo qualche condanna isolata, a volte addirittura seguita da rettifica, il peso economico della Repubblica Popolare d’altronde dissuade da qualunque azione specifica, senza contare i gruppi social-democratici e post-comunisti conniventi con il regime di Pechino. Il quadro è desolante resta solo il silenzio.