Montagne russe a Piazza Affari, economia paralizzata, e tanta incertezza per
il futuro di un Paese che mai come oggi, dopo anni di recessione e
stagnazione, avrebbe avuto bisogno di stabilità per progettare con serenità un
futuro di crescita. L’economia reale, già svilita da anni di malgoverno, oggi più
che mai è sull’orlo del baratro. L’essersi trovati protagonisti di quella che si
prospetta una vera e propria pandemia, ha completamente paralizzato il
nostro tessuto economico e sociale prospettando forti ripercussioni
economiche anche una volta rientrati dell’emergenza sanitaria in atto.


Tante le associazioni riconducibili al “cigno nero” di Taleb: un evento
assolutamente non prevedibile che, presentandosi in maniera totalmente
improvvisa, riesce con la sua violenza a scardinare le certezze basate anche
sul più solido dei pilastri.


Ed è proprio così che in questi giorni abbiamo assistito ad un vero e proprio
tracollo di un “mondo finanziario” che già di per sé poggiava le proprie basi su
un terreno viscoso generato da anni di tassi al minimo ed eccessiva liquidità.


La rapidità con cui si è propagato il virus, abbinata alle poco rassicuranti (per
giorni assenti) risposte istituzionali hanno fatto il resto: il panico improvviso
che ha travolto gli investitori finanziari ha scatenato un “tana libera tutti” senza
prigionieri.


Chiara evidenza del clima di terrore protagonista in questi giorni di
contrattazioni, è l’indesiderato ritorno nell’occhio del ciclone dell’indice Vix
anche detto “l’indice della paura”. Il Volatility Index sintetizza infatti la volatilità
e i timori percepiti dagli operatori finanziari prendendo a riferimento lo Standard & Poor 500, uno tra i più importanti indici azionari americani il cui
paniere è formato dalle 500 aziende statunitensi a maggior capitalizzazione.
Dopo i picchi dei giorni passati, con impennate del +25% che l’hanno riportato
sopra la soglia psicologica dei 60 punti, l’indice ha concluso la settimana
ritracciando a quota 57.

Per meglio percepire la gravità di un tale andamento, basti osservare come
l’ultima volta che tali picchi vennero raggiunti, l’economia americana era stata
appena travolta dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime col
conseguente crack della Lehman Brothers, ottobre 2008.

Volgendo lo sguardo al settore trasporti, e tenendo conto che circa il 90% delle merci trasportate globalmente, lo fa via mare, desta  severe preoccupazioni osservare un Baltic Dry Index in caduta libera. Situazione inevitabile vista l’importanza siderale che la Cina ha assunto negli ultimi decenni a livello di commercio mondiale e gli impatti dirompenti che il coronavirus ha avuto nel paese del Dragone. Infatti, alle prime verifiche sanitarie a cui venivano sottoposti gli addetti all’equipaggio, si è gradualmente passati ad un totale isolamento del Paese, visti anche i numerosi rifiuti di approdo alle aree portuali cinesi. Stesso scenario, come denunciato da Assarmatori, si sta venendo a configurare per il settore marittimo italiano e, poiché i porti italiani potrebbero essere sostituiti con quelli esteri, vi è il concreto rischio di registrare il consistente ammanco di 13 miliardi di euro che annualmente la distribuzione marittima incassa dai soli dazi.

Intorno ad un clima apocalittico, non è rimasta incolume Piazza Affari letteralmente travolta da un’ondata di vendite. Il Ftse Mib, che nelle ultime 5 sedute ha registrato un -23,29%, venerdì ha tentato un timido rimbalzo dopo un “giovedì nero” nel quale ha chiuso le contrattazioni con un brusco -16,92%, la peggior performance della sua storia. Risultato che rappresenta solo l’exploit di quest’ultimo mese in cui il listino ha perso oltre il 35% del proprio valore dilapidando i brillanti risultati di un 2019 che l’ha visto posizionarsi terzo nella classifica mondiale degli indici di borsa.

Basti pensare che un così repentino tracollo venne registrato solo nelle tre settimane che separarono il 31 Agosto al  21 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle.

E se durante i periodi di crisi e grande incertezza, eravamo abituati a vedere nell’oro il “bene rifugio” per eccellenza, la performance dell’ultima settimana ha fatto ricredere anche i più longevi nel settore. L’inaspettata volatilità che ha condizionato i mercati in queste settimane, ha creato gravi perdite e conseguenti crisi di liquidità, esasperate da un utilizzo improprio della leva finanziaria (“croce e delizia” del mercato Forex e CFD). D’altro canto gli investitori stessi, prospettandosi il concreto rischio di non poter reintegrare i margin call con una conseguente chiusura delle loro posizioni finanziarie, sono corsi ai ripari facendo registrare in una sola settimana un ribasso delle quotazioni del lingotto che ha superato gli 8 punti percentuali.

Il panico generale che ha scatenato vendite incontrollate in tutti i listini europei, ha ufficialmente aperto una “fase orso” delle Borse che non è stata certamente attenuata dagli interventi della Bce.

Nel vivere questi giorni di profonda crisi che resteranno impressi nei libri di storia, tutto il mondo attendeva una rassicurante risposta dall’Unione Europea. Ha invece lasciato tutti increduli la disastrosa conferenza-gaffe del presidente della Bce Christine Lagarde che, con poche parole, è riuscita ad acuire il crollo dei mercati facendo impennare il differenziale tra BTP e Bund arrivando a far bruciare nel giro di poche ore ben 68 miliardi. 

«Non siamo qui per abbassare gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni».

Hanno suscitato clamore e indignazione le parole della francese, in piena contrapposizione alla linea “whatever it takes” perseguita dal predecessore Mario Draghi.  

Parole che sono riuscite a scomodare anche il Presidente Mattarella, europeista convinto e da sempre schivo ai contrasti, che ha subito ribadito il suo disappunto. A ben poco sono servite le rassicurazioni  arrivate dal mondo politico, economico, e lo stesso dietrofront della Lagarde, che ha successivamente puntualizzato come si lavorerà ad un “contrasto alla frammentazione” .

La sua dichiarazione  è apparsa come un siluro atto ad affondare un Paese che mai come oggi avrebbe avuto bisogno di messaggi di compattezza e solidarietà. Quello stesso segnale di unione lanciato da Draghi nel luglio del 2012, quando affermò che  la Bce sarebbe stata pronta “a fare tutto il necessario per preservare l’euro”, oggi non ha trovato riscontro nella dichiarazione del governatore francese. 

Al di là di qualsiasi dietrologismo con la Bundesbank e gli scheletri della Grecia, celati dietro un così aspro messaggio, è ormai chiaro come simili comportamenti vadano ad intaccare ulteriormente una relazione, già di per sé logora, che lega il nostro Paese ad una UE sempre più dominata da un’alleanza franco-tedesca. In un clima già di per sé franoso, appare però senz’altro inappropriato discutere in questo momento di un ipotetico “Italexit”. 

L’Italia, presumibilmente entrerà in recessione e forse, realmente, non ne è mai uscita. Oggi più che mai l’intero Paese avrebbe avuto la necessità di un Governo forte, che non piegasse la testa ai burocrati europei e dimostrasse la capacità di guidare con risolutezza un popolo colto alla sprovvista da una pandemia che continua a diffondersi e mietere vittime.

Ma se “la vita sfida chi ha la forza di combattere”, oggi più che mai, abbiamo il dovere etico e morale di rialzarci ed affrontare a testa alta le avversità dimostrando al mondo intero il valore che ci ha sempre contraddistinto.

Per le nostre famiglie, per i nostri figli, per le generazioni future.

Viva l’Italia.

di Francesco Mancuso