Con questo brano, avvio un percorso di reinterpretazione e riattualizzazione di alcune novelle Pirandelliane, tratte dall’edizione integrale delle “Cento Novelle”. Tutto ciò non vuole essere un’opera filologica o di critica letteraria di uno dei più importanti interpreti della letteratura italiana del Novecento, ma solo un omaggio da parte di un insaziabile lettore dell’autore siciliano. 

Non penso che i successivi contributi di questa rubrica usciranno regolarmente e, perciò, la metto a disposizione di quanti, all’interno della redazione, vorranno contribuire con le riletture di altre novelle di Pirandello. Il professor Terremoto apre la raccolta da cui sto attingendo, dando l’opportunità di riflettere sulle concezioni di Eroe e Miseria/Disgrazia. La tesi portata avanti dal protagonista, un professore che viaggia sullo stesso treno del narratore, è che da atti di eroismo derivino solo sciagure e patimenti: infatti, al di là dell’innegabile sublimità del gesto eroico, forse addirittura astorico, in quanto avulso da qualsiasi idea di quotidianità, ciò che permane, passati i primi tempi di celebrità e riconoscenza, è la miseria della vita, che, a volte, si rivela diretta conseguenza di quello Stato di Grazia iniziale.

Così, l’autore relativizza la mitizzazione dell’Eroe, per porre l’accento sull’aspetto più tragico di quell’esistenza, “a lume spento”: in fondo, i personaggi descritti in questa novella, sia il professore, sia l’altra protagonista, ossia la donna di Reggio che mette a repentaglio la sua vita, per salvare i suoi affetti, non sono altro che personificazioni dell’Agamennone Kierkegaardiano, l’eroe tragico ed etico, che, nel momento più solenne, compiendo un gesto eroico, in realtà si denuda in tutta la sua fragilità, la quale, irrimediabilmente, segnerà il suo percorso. Volendo trovare un altro parallelismo letterario, tali soggetti sono paragonabili al Nemecsek de “I Ragazzi della Via Pàl”, che, nel momento di maggior fulgore, ossia quando effettua incursioni pericolose a giovamento della sua comunità, si espone al male peggiore, fino a perire per le conseguenze di una polmonite. Tutti gli Eroi, al di là della mitizzazione che eternizza l’istante, l’ακμή, estremo del loro sacrificio, sono uomini e donne che, sia prima, sia dopo, soffrono la miseria della condizione umana.

Io non penso che una tale visione vada a detrimento della concezione eroica della vita: la massima Dannunziana “Noi siamo d’un’altra Patria e crediamo negli Eroi”, ritengo possa essere maggiormente intesa comprendendo che tutti possono essere Eroi, nella misura in cui chiunque può elevarsi, anche solo per un istante, riuscendo stoicamente a portare il peso delle proprie azioni e dello scherno di chi non è in grado di superare sé stesso, come l’anonimo professore di questo racconto, affetto da miseria (materiale) e nobiltà (spirituale). La successiva disillusione del protagonista non può obnubilare l’esaltante azione di quindici anni prima, che non poteva “erompere” da un animo indegno, misero e pavido, pur in condizioni di forti criticità, quali i terremoti di cui tratta questa novella o le alluvioni della realtà a noi più prossima.

Marco Bilotti