Introduzione

Da meno di un decennio si sta iniziando a parlare, sempre con più insistenza, dell’idrogeno; come spesso accade, però, con gli argomenti che vanno di moda, molti ne parlano ma pochi lo fanno con cognizione di causa. In questa nostra nuova rubrica, vogliamo approfondire non solo questa nuovo tipo di tecnologia (e non solo energia) ma aiutare la diffusione di queste “novità”, facilitandone la comprensione e combattendo la disinformazione.

Figura 1 struttura chimica idrogeno molecolare

La generazione dell’idrogeno, ovvero i colori

Proprio per l’impossibilità, o meglio la difficoltà, a reperire l’idrogeno in forma molecolare (H2), bisogna produrlo artificialmente, spesso in siti vicini al punto d’impiego industriale. La produzione dell’idrogeno però è una metà che può essere raggiunta attraverso diversi percorsi, alle volte anche molto diversi tra loro. I vari metodi di produzione sono indicati per colore, andando così a differenziare la varia impronta carbonica associata alla generazione della molecola; inoltre bisogna dire anche che, il colore associato all’idrogeno non indica una diversa composizione della molecola ma si limita al solo metodo di generazione. I colori dell’idrogeno sono quindi:

  • Grigio: se prodotto con un processo a partire da carbone o gas idrocarburico (tra cui il metano) o comunque a partire da fonti fossili, questo metodo rilascia il massimo quantitativo di CO2 risultando quindi quello più inquinante in assoluto;
  • Blu: la metodologia di produzione è identica a quella dell’idrogeno grigio, ma viene previsto un meccanismo di cattura e stoccaggio della CO2 per non rilasciare il gas inquinante in atmosfera;
  • Viola: Idrogeno prodotto con energia elettrica attraverso l’impiego di elettrolizzatori (verranno spiegati nel prossimo articolo). La provenienza dell’energia elettrica è da fonte nucleare. Facile capire che questo metodo non è legato all’inquinamento ma rappresenta altri problemi per l’ambiente.
  • Verde: la produzione può avvenire sia per forma biologica, attraverso alghe e batteri ma fortemente sconsigliata perché troppo lenta (industrialmente parlando), sia tramite elettrolizzatore. Se l’elettrolizzatore è alimentato da fonti di energia rinnovabile, allora la produzione non rilascia alcuna traccia di CO2 in atmosfera.

Attualmente il 96% dell’idrogeno prodotto è di tipo grigio, questo perché le tecnologie per la sua produzione sono le più mature in campo industriale e sono pertanto le più economiche. Infine, bisogna dire che l’idrogeno è da sempre impiegato e prodotto nelle raffinerie, il cui scopo è quello di rifinire il prodotto finale andando a conferirgli maggior potere calorifero.

Figura 2 i colori principali dell’idrogeno

Gli strumenti per lavorare con l’idrogeno

L’ingresso dell’idrogeno nel ramo energetico, e non solo come prodotto industriale, ha richiesto l’impiego di nuove macchine che avessero come scopo l’estrazione/ il confinamento dell’energia dalla/nella molecola. Nella puntata precedente si è fatto un accenno agli elettrolizzatori, strumenti capaci di trasformare acqua ed energia elettrica molecole di H2, ma come funzionano realmente? Lo schema di impianto è relativamente semplice e molto “antico” dal punto di vista degli strumenti chimici; infatti, è del tutto identica alla pila, inventata da Alessandro Volta nel 1799, che rappresenta anche il primo generatore statico di energia elettrica in assoluto. Curioso come tutto torni sempre all’origine. L’elettrolizzatore, di fatto, utilizza l’energia elettrica continua per scindere l’acqua nei suoi due componenti primari (ossigeno-idrogeno) , attraverso un sistema di poli (positivo-negativo).

Figura 3 elettrolizzatore di dimensione industriale

Allo stesso modo ma con funzionamento inverso, ci sono le Celle a Combustibile, che hanno il compito di trasformare l’idrogeno gassoso in energia elettrica, mediante reazione con l’ossigeno. Il prodotto di questa reazione è semplicemente vapore acqueo, il che rende perfettamente sostenibile il processo di generazione energetica, senza alcun limite di inquinamento ambientale. Altri punti a vantaggio sono: il peso contenuto, le dimensioni ridotte e la possibilità di unione con altre celle a combustibile senza nessun problema o limite di installazione.

La ricerca, soprattutto quella dei settori automobilistici, si sta cimentando nell’efficientamento sempre più spinto delle celle a combustibile, andando a creare modelli sempre più piccoli e compatti, che possano generare energia con rendimenti sempre maggiori. Altro dato abbastanza importante, che i più tecnici nel settore apprezzeranno, è che la conversione idrogeno-energia elettrica, avviene per via chimica (o meglio elettrochimica), non passa quindi per processi termici il che permette di aggirare il limite imposto dal rendimento di Carnot, consentendo una conversione energetica maggiore rispetto alle normali turbine a gas o ai motori termici.

Figura 4 cella a combustibile

Il trasporto e stoccaggio dell’idrogeno

Proprio a causa della sua natura leggera e molto piccola, la molecola H2, presenta una criticità importante nel trasporto. Principalmente i metodi del trasporto si articolano in due modi diversi: per via fisica, ovvero abbassando la temperatura (liquefazione) o alzando la pressione (compressione); oppure per via chimica, facendo reagire l’idrogeno con particolari materiali o altri atomi così da creare un nuovo composto più stabile che ne permetta il trasporto. Bisogna dire che questo è il ramo in cui la ricerca si sta concentrando maggiormente, in quanto una soluzione economica e facilmente realizzabile sarà alla base del successo, quindi, della diffusione dell’idrogeno in tutto il mondo. Attualmente i metodi fisici sono quelli maggiormente adoperati:

  • La liquefazione avviene a temperature molto basse -253°C e comporta un costo non indifferente sia per raggiungere questa temperatura, sia per mantenerla, cosa enormemente più difficile se il carico si mette in movimento; quindi, è staccato da una rete elettrica (navigazione, trasporto su rotaia o carri).
  • La compressione, è il metodo che attualmente va per la maggiore, ma anche questo ha non pochi problemi: primo tra tutti, ha un costo non indifferente in termini di energia per far avvenire il processo. Tra tutti i gas, l’idrogeno è quello che richiede un lavoro di compressione maggiore per raggiungere alte pressioni, quindi un costo più alto in termini economici.

Una volta compresso, può essere trasportato in carri bombolai, come il normale gas metano, ma non può passare all’interno delle pipeline (tubi di distribuzione del gas), poiché risulta corrosivo per i materiali che compongono queste linee. Per quanto riguarda la via chimica, l’idrogeno può essere combinato con l’Azoto presente nell’ aria (l’aria che respiriamo è composta al 78% di azoto) e trasformato in ammoniaca. L’ammoniaca la conosciamo industrialmente bene, perché la si usa da oltre 70 anni nell’industria mondiale, di facile trasporto e impiego. Il problema è che al costo di generazione dell’idrogeno dovrebbe sommarsi quello di trasformazione (e scomposizione) dell’ammoniaca, cosa che lo farebbe uscire fuori dal mercato senza ombra di dubbio. L’ultimo metodo da citare, ce ne sono altri ma di più scarso interesse, è quello dei MOFs (Metal Organic Frameworks). Sono dei particolari composti atomici, a base di carbonio, che funzionano come delle scatole nelle quali si può inserire e togliere molecole di idrogeno senza limite di utilizzo, variando solo temperatura e pressione. Ad occhio umano, questo composto si presenta come una sabbia bianca, simile al comune sale da cucina.

Figura 5 Struttura e funzionamento dei MOFs