La globalizzazione, come è stato dimostrato in molteplici casi, presenta varie criticità e arreca gravi danni agli stati nazionali e alla loro identità. Una delle minacce principali è rappresentata dalla costante perdita, in termini economici, di cui risentono i produttori locali, a totale vantaggio delle grandi multinazionali. Chi le dirige è nella condizione di non dover competere ad armi pari con le aziende locali e ciò inevitabilmente induce la gente a compiere determinati tipi di acquisti. L’Italia risente di questa impostazione soprattutto nel settore agroalimentare, che caratterizza la nostra nazione nel resto del mondo e che l’ha resa celebre.

I numeri parlano chiaro: ogni anno l’Italia importa da altre nazioni più degli altri paesi europei, pur non avendone bisogno. La crisi generata dalla pandemia ha ulteriormente accentuato questo fenomeno tanto che nell’ultimo anno l’esportazione delle eccellenze italiane nei paesi stranieri è drasticamente calata, a differenza dell’importazione cresciuta in modo esponenziale. Con una recente inchiesta è stato dimostrato che l’Italia ha importato tonnellate di limoni, malati fra le altre cose, dalla Turchia, declassando quelli sorrentini, imbattibili in qualità. Stessa storia sulle ciliegie; gli agricoltori nostrani vengono abbandonati e sfruttati e, alla fine, ribellandosi, giustamente, a determinate condizioni di lavoro, la grande distribuzione opta per le ciliegie provenienti dall’Africa, di scarsa qualità, ma ottenibili a basso costo, nel silenzio generale di parte della politica del governo.

Si sanno le ragioni per cui questo avviene e anche perché l’Italia è maggiormente colpita di altre nazioni. Qualsiasi tratto identitario forte va colpito e distrutto per alcuni potenti oligarchi finanziari e il cibo è uno di questi, senza contare che produrre roba scadente genera più guadagno della produzione di qualità. Anche in questo caso, tuttavia, la politica è complice, dimostrando di essere succube dell’economia, nella sua accezione peggiore. Le politiche degli ultimi governi di sinistra hanno sistematicamente ignorato il problema e mascherando il tutto con gentili parole hanno, de facto, detto che, in virtù della globalizzazione, non bisogna rimanere legati alle proprie tradizioni secolari; le politiche dell’UE, invece, hanno sistematicamente perseguito come fine l’annientamento dell’economia agroalimentare dell’Italia. Alle volte non sono riusciti ad attuare quanto avevano progettato ma non devono essere sottovalutati i segnali percepiti dai vari stati membri.

Chi non ricorda la battaglia di alcuni commissari per obbligare i produttori italiani a utilizzare il latte in polvere per la produzione dei formaggi? Chissà per quale straordinaria coincidenza i principali produttori di latte in polvere sono soprattutto grandi multinazionali straniere! Allo stesso modo, nessuno dimentica la norma che impone ai pescatori italiani di non vendere vongole eccessivamente grandi. Tra le altre novità c’è, poi, l’introduzione del Nutriscore, non adottato ufficialmente dall’UE ma presente in molte nazioni, prima fra tutte la Francia. Noto sistema che etichetta i prodotti, comunicando ai consumatori quanto sono salutari; anche in questo caso, per una strana coincidenza, a detta di questa etichettatura,  tutti i prodotti italiani sono considerati dannosi per la salute, mentre tutti i prodotti della grande distribuzione e delle aziende francesi sono assolutamente sani e privi di grassi. In ultima analisi non è possibile non menzionare la nuova proposta di sdoganare il vino annacquato, parificandolo al classico vino rosso e la parificazione dei formaggi di origine vegetale a quelli di origine animale. Si dice che tre indizi fanno una prova, in questo caso, essendo molteplici gli indizi, allora non è concepibile ritenere che non vi sia la precisa volontà di annientare la produzione made in Italy.

Come si risolve il problema? Sicuramente bisogna cambiare l’Europa dall’interno per renderla una comunità di nazioni, allo stesso tempo, però, il nostro paese può, nel suo piccolo, invertire la rotta e, se non lo fa, è complice scientemente di questo sistema contorto. È possibile invitare la gente ad acquistare roba italiana, spiegando tutti i vantaggi che ne derivano. Ci sono persone che vorrebbero farlo ma sono disincentivate a causa dei prezzi troppo alti. Com’è reale ciò è altrettanto vero che un governo ha tutti gli strumenti per avvantaggiare la produzione locale, correggendo la concorrenza sleale; questo è un tema che gli stati non possono affrontare esclusivamente in autonomia ma non è peregrino sostenere che abbiano una minima autonomia, alla quale l’Italia non ha voluto ricorrere; non guasterebbe, fra l’altro, un po’ di orgoglio nazionale. Ci sono nazioni come la Francia che, pur essendo governate da uomini come Macron, rivendicano il proprio senso di appartenenza e sponsorizzano in modo accurato le proprie eccellenze. Si stima che l’Italia possa vantare il 90% in più dei prodotti di cui può andar fiera la Francia, con la sostanziale differenza che quelli francesi sono tutti noti nel mondo, quelli italiani solo al 5%. Purtroppo la nostra nazione ha l’anomalia di una sinistra eccessivamente xenofila, che, in un tempo in cui tutte le identità nazionali sono nel mirino dei grandi speculatori, spiana loro la strada. Finché la mentalità antitaliana non verrà eliminata, affrontare le grandi sfide del nostro tempo e risolvere definitivamente le macroquestioni sarà impossibile. Bisogna partire dalle piccole cose, per arrivare a mutare completamente il modello attuale, deleterio per tutti i popoli ma per il nostro in modo particolare.