Da un anno, ormai, tutti i paesi, in un modo o in un altro, fronteggiano la pandemia del Covid 19, una malattia che ha radicalmente mutato le nostre vite al punto che gli scienziati e i medici di tutto il mondo si sono mobilitati per trovare un vaccino efficace in tempi rapidi.

C’è un aspetto della pandemia che viene continuamente sottovalutato, nonostante sia sotto i nostri occhi tutti i giorni, cioè l’ approccio di ciascuno di noi. Tutte le grandi testate giornalistiche e il mondo della politica tendono ad etichettare le dichiarazioni e le sensazioni degli individui, ricorrendo a determinati termini: aperturista, rigorista, negazionista , etc. Un tale approccio è assolutamente fuorviante e divide la popolazione in un momento in cui dovrebbe esserci unità.

Se analizziamo ognuna di queste parole attentamente, scopriamo che in ognuno di questi ” caratteri “( volendo usare un’ espressione di Teofrasto ) c’è qualcosa da apprendere, da scoprire e da non rifiutare e che non bisogna ricorrere al solito schema del pensiero unico.

Andando sul concreto, chiediamoci chi è l’ apertutista, generalmente sbeffeggiato e tacciato di egoismo e irresponsabilità. È colui che pensa che l’ azione del Governo debba tendere a chiudere meno attività e a imporre meno limitazioni alla vita sociale, percorrendo vie alternative. In questo si opporrebbe al rigorista, generalmente esaltato dalla stampa, il quale giustifica ogni provvedimento rigido e pesante. È indubbio che, nel momento in cui gli ospedali sono stracolmi e il tasso di mortalità è elevato, non è concepibile comportarsi come se nulla fosse; non è, però, altrettanto vero che il diritto alla libertà e al lavoro non può essere completamente declassato e che, in un dato momento, senza lavoro e senza libertà, anche la salute può essere compromessa? Probabilmente trovare una sintesi porterebbe pace e serenità, magari intervenendo dove è necessario, senza continuamente cercare colpe e senza lontanamente immaginare che lo stile di vita impostoci dal virus quasi sia auspicabile ( a riguardo ci sono dichiarazioni un po’ inquietanti).

Per quanto riguarda il negazionista, la faccenda è un minimo più complessa. Negazionista può essere colui che sostiene tesi bizzarre come la diffusione del virus attraverso le antenne del 5G o che la letalità del virus sia inesistente ( sono assolutamente in pochi, fortunatamente) ma anche colui che semplicemente si pone delle domande e ingiustamente viene definito tale. Dire che avere paura del virus non è funzionale e che la vita non può essere ridotta esclusivamente al divieto di assembramento in modo perpetuo e che talune attività economiche si sono arricchite e che altre si sono impoverite è negazionismo o è la fotografia di un dato della realtà? Quando, poi, proprio la piccola o media impresa che si è impoverita non riceve alcun sostegno economico serio, rischiando di chiudere definitivamente i battenti, in futuro, criticare le scelte politiche è un obbligo morale. Se un giovane esce e non rispetta le regole,  va sanzionato, ma i ragazzi non meritano di diventare il capro espiatorio e di essere insultati se, semplicemente, vivono la propria vita nel rispetto dei decreti e reclamano di essere stati abbandonati dalla società. Molti di loro, negli ultimi tempi, hanno riscontrato problematiche a livello psicologico e, a causa dell’ università e della scuola totalmente nel caos, in tanti hanno conosciuto la disperazione e il disorientamento: oltre a questi aspetti, non è mancata la diffusione di vere e proprie fake news, come quella del contagio che sarebbe ripartito a fine settembre per colpa della movida estiva. Per un semplice principio scientifico, il tempo di incubazione del virus è di due settimane, ergo, la recrudescenza dipende dagli avvenimenti dei 14 giorni precedenti; ciò ci permette di constatare, ad esempio, che il contagio è ripartito a causa della cattiva organizzazione della didattica in presenza nelle scuole e di tutto ciò che ad essa è connesso: trasporto pubblico, luoghi di lavoro, etc.

Da questo cortocircuito e cattivo conflitto se ne esce con determinate parole d’ ordine che sono risoluzione e impegno per tornare alla vita di prima, accompagnate da sacrifici utili e da fattori di realtà.

Si può affermare che non gioire delle restrizioni, comprendendo la loro indispensabilità, non significa complottismo e non può essere impostato in schemi infamanti e riduttivi, ma vuol dire normalità.

Come Azione Universitaria viviamo costantemente tutte le problematiche che toccano i giovani in questo periodo e, ben calati nella realtà, siamo perfettamente consci della complessità delle dinamiche e dei grandi temi e conflitti generati dalla pandemia. Il nostro obiettivo è riflettere sul modo migliore per sconfiggerla e cercare soluzioni vere di compromesso tra le esigenze che sono le sole in grado di unire e di non dividere. Per tale ragione continueremo a trattare queste tematiche e a fornire il nostro punto di vista.