Tra le numerose competenze della Corte Costituzionale figura anche quella del giudizio nei confronti delle accuse mosse contro il Presidente della Repubblica, disciplinata dall’articolo 134 della Costituzione. Tale articolo ci elenca quelle che sono le competenze della Corte Costituzionale: la Corte Costituzionale giudica sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione. L’ articolo 134 della nostra Costituzione va letto in combinato con l’articolo 90 della Costituzione il quale dispone che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione (cosa questa possibile visto anche quanto disciplinato dall’articolo precedente, ovvero l’articolo 89 del testo costituzionale, il quale recita: “ nessun’atto del Presidente della Repubblica è valido se non controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità”). In tali casi è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.

A partire dal 1989, anno in cui viene approvata la legge costituzionale 16 Gennaio 1989 n 1, il Presidente del Consiglio ed i ministri non sono più giudicati dalla Corte costituzionale per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni; difatti l’articolo 96 della Costituzione, cosi come modificato dalla legge costituzionale sopra citata, stabilisce che il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri anche se cessati dalla carica sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica e delle Camera dei Deputati secondo le norme stabilite con legge costituzionale.


Possiamo trovare le disposizioni che vanno a disciplinare sotto differenti aspetti tale competenza della Corte, in differenti fonti: innanzitutto la Costituzione, ma anche alcune leggi costituzionali come la Legge Costituzionale 11 Marzo del 1953 n 1, o comunque leggi ordinarie, come la Legge 25 Gennaio 1962 n 20 e successive modificazioni, ed infine anche nelle Norme Integrative per i giudizi di accusa davanti alla Corte Costituzionale, approvate in auto normazione dalla Corte stessa con delibera del 27 Novembre 1962, e nel regolamento parlamentare per i procedimenti di accusa approvato in un identico testo dal Senato il 7 Giugno 1989 e della Camera il 28 Giugno 1989.

Tutti quanti i rapporti o le denunce riguardanti i reati menzionati all’articolo 90 della Costituzione vengono presentati al Presidente della Camera e poi da questo, dopo averne dato notizia al Presidente del Senato, sono trasmessi ad un Comitato Parlamentare (il Comitato Parlamentare per i Procedimenti di accusa contro il Presidente della Repubblica); esso è formato da tutti i componenti della Giunta del Senato e della Giunta della Camera competenti per le autorizzazioni a procedere, è disciplinato dall’articolo 12 della legge costituzionale 11 Marzo 1953 n 1, cosi come modificato dalla legge costituzionale 16 Gennaio 1989 n 1. Normalmente per quanto riguarda la presidenza vi è un’alternanza ogni legislatura tra il Presidente della Giunta alla Camera e quello della Giunta al Senato. Tale comitato espleta le sue indagini nei confronti di qualsiasi soggetto (anche Presidente del Consiglio o semplici Ministri) che abbia un concorso nei reati di cui all’articolo 90 della Costituzione e lo fa con gli stessi poteri spettanti al Pubblico Ministero o al Giudice per le indagini preliminari entro il termine massimo di cinque mesi, prorogabile per una sola volta per un termine massimo di 3 mesi. Importantissima a tal fine è la norma secondo la quale nei procedimenti in questione non sono richieste le autorizzazioni previste dai commi 2 e 3 dell’articolo 68 della Costituzione, dispone infatti il Comitato non soltanto del rilevante potere di effettuare intercettazioni, ispezioni e cosi via ma anche di adottare comunque misure cautelari restrittive della libertà personale nei confronti di tutti gli inquisiti, non solo del Presidente. Tuttavia, per quanto riguarda le misure cautelari, sembrerebbe sussistere sulle fonti una grave incongruenza che crea un paradosso: secondo la legge n 219/1989 (legge che integra la disciplina della legge costituzionale 16 Gennaio 1989 n 1) tali misure possono essere adottate dal Comitato solo dopo che la Corte ne abbia disposto la sospensione dalla carica (cosa già di per se priva di senso con riguardo al PDR), mentre, invece, la novella Costituzionale prevede che l’eventuale sospensione può essere prevista dalla Corte solo dopo la messa in stato d’accusa da parte del Parlamento in seduta comune (in tal caso dunque non si capisce quando mai il Comitato potrebbe prendere tali provvedimenti se essi devono essere successivi ad una sospensione che la Corte può eventualmente adottare solo dopo che il Parlamento in seduta comune abbia messo in stato d’accusa il Presidente e, dunque, si sia esaurita la fase dei lavori da parte del Comitato). Sembra, dunque, evidente, alla luce di tale quadro, che il Parlamento o meglio ancora il suo Comitato, nonostante le prove eventualmente raccolte, non possa prendere misure cautelari nei confronti del Presidente, mentre invece la Corte possa sempre revocare i provvedimenti coercitivi adottati nella fase parlamentare nei confronti degli imputati laici.

I componenti di tale Comitato non possono ricusare e, dunque, essere ricusati, essi hanno tuttavia la facoltà di astenersi, previo consenso del Presidente della Camera dei Deputati, nei casi in cui vi è una grave ragione di convenienza o nei casi in cui il Codice di Procedura Penale ammette la ricusazione del giudice; possono inoltre essere sostituiti quando sopravviene un legittimo impedimento a partecipare alla seduta, previa autorizzazione da parte del Presidente del Comitato. In tutti questi casi i membri del Comitato sono sostituiti immediatamente da senatori e deputati appartenenti al medesimo gruppo parlamentare tratti da un elenco di senatori ed uno di deputati aventi entrambi consistenza numerica, pari a quella della relativa giunta per le autorizzazioni a procedere, stilato all’inizio di ogni legislatura rispettivamente dal Presidente del Senato e da quello della Camera. Si ricorda inoltre che i componenti di tale Comitato non possono astenersi dal voto e che le deliberazioni sono valide solo se presente la maggioranza dei suoi componenti. Le sedute di tale Comitato sono normalmente segrete, salvo che di volta in volta venga deliberato differentemente di renderle pubbliche per intero o in parte dal Comitato stesso.
In ultimo va detto che tale Comitato può non soltanto giovarsi di referti, rapporti o denunce ad esso trasmessi ma può, anche d’ufficio, promuovere indagini anche su richiesta di un solo componente.

Può deliberare di promuovere d’ufficio delle indagini; qualora ciò avvenga, il Presidente del Comitato deve comunicarlo al Presidente della Camera e questo, a sua volta, deve darne notizia al Presidente del Senato. Di tutte le trasmissioni verso il Comitato da parte del Presidente della Camera e viceversa, il Comitato può chiedere di darne comunicazione alle assemblee. Qualora tale Comitato riceva atti, il Presidente dello stesso deve convocarlo entro 10 giorni dal ricevimento di questi
A conclusione dei propri lavori, il Comitato può 1) Dichiarare la sua incompetenza, quando ritiene che il reato non sia inquadrabile in quelli previsti dall’articolo 90 della Costituzione. In tal caso, entro 10 giorni, deve trasmettere tale ordinanza ai presidenti delle due camere i quali ne daranno comunicazione alle rispettive assemblee. 2) Può disporre, con un’ordinanza motivata, l’archiviazione di tutti gli atti del procedimento quando ravvisa la manifesta infondatezza delle notizie di reato ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione. 3) Presentare in ogni altro caso una relazione al Parlamento in seduta comune.


Nel primo caso dichiarandosi, in nome del Parlamento, incompetente a decidere essendo la sua funzione limitata ai reati presidenziali nell’esercizio delle sue funzioni (ai sensi dell’articolo 90); gli atti sono rimessi al magistrato ordinario per l’esame di eventuali responsabilità personali del Presidente accusato (il capo dello stato italiano gode di immunità solo per gli atti compiuti nella sua funzione)8 Tuttavia anche nei primi due casi, entro dieci giorni dalla trasmissione dell’ordinanza, almeno 1⁄4 dei componenti del Parlamento in seduta comune, può comunque chiedere al Comitato di presentare una relazione, come nel caso terzo, tramite una richiesta scritta al Presidente della Camera di appartenenza dei richiedenti; il Comitato entro un mese è tenuto cosi a presentare suddetta relazione.
In ogni caso, tale relazione deve contenere elementi come: l’indicazione del fatto, le indagini svolte e le relative conclusioni. Se la relazione propone la messa in stato d’accusa, le conclusioni devono riportare l’indicazione degli addebiti con le relative ipotesi di reato e degli elementi su cui la proposta è basata. Tale relazione viene poi presentata ed inviata ai Presidenti delle due camere che contribuiranno poi a stamparla e a distribuirla tra i membri della loro assemblea.
Mentre la Corte Costituzionale, le cui fonti regolatrici non permettono l’emergere di eventuale/i dissenting opinion al suo interno o comunque del dissent (anche con riferimento al giudizio sulle accuse nei confronti del Presidente della Repubblica) deve presentarsi con una voce unica, questo è invece possibile all’interno del Comitato Parlamentare per i procedimenti di accusa contro il Presidente della Repubblica. Infatti il comma 4 dell’articolo 12 del regolamento parlamentare che lo disciplina, approvato nel medesimo testo dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica nel Giugno 1989, ci dice che possono essere anche presentate da parte del Comitato relazioni di minoranza.
Molto importante è inoltre il rapporto intercorrente tra tale Comitato e le Commissioni parlamentari di Inchiesta. Sappiamo infatti che le Commissioni parlamentari d’inchiesta possono essere monocamerali e bicamerali ed inoltre possono essere attivate con legge o non; in tal caso indipendentemente dalla loro composizione e, anche se attivate con lo strumento della legge, esse devono, per quanto riguarda gli stessi fatti che formano oggetto di indagine del comitato o per fatti ad essi connessi, sospendere la propria attività in riferimento ai fatti medesimi e trasmettere tutto il materiale a loro disposizione e gli atti al Comitato, non appena dal Comitato stesso ricevano comunicazione dell’inizio delle indagini. Qualora il Parlamento in seduta comune deliberasse la messa in stato d’accusa, allora, in tal caso, la commissione d’inchiesta non può più procedere limitatamente ai fatti per i quali viene deliberata la messa in stato d’accusa, in tutti gli altri casi la commissione di inchiesta può tranquillamente riprendere la sua attività.


Qualora il Comitato opti per la sopra menzionata possibilità numero 3, cioè di presentare una relazione, si apre una fase successiva dinanzi al Parlamento in Seduta Comune, il quale opera sulla base del Regolamento della Camera dei Deputati e deve essere convocato dal Presidente della Camera entro trenta giorni dalla ricezione da parte del comitato della relazione, oppure, in caso di mancata o tardiva presentazione della relazione, entro trenta giorni dalla scadenza dei termini per il compimento delle indagini. Dall’emissione dell’atto di convocazione, la seduta di questo deve avere luogo entro un massimo di trenta giorni
In esso, dopo una discussione, si procede alla votazione a scrutinio segreto della messa in stato di accusa, la quale risulta approvata se viene raggiunta la maggioranza assoluta dei componenti. La fase della discussione segue particolari regole: innanzitutto all’interno del Comitato non viene nominato soltanto un relatore ma in alcuni casi, se presente una dissenting opinion all’interno di questo, i relatori potrebbero essere due o più, uno di maggioranza ed uno o eventuali di minoranza, dopodiché il regolamento per i procedimenti di accusa prevede all’articolo 18 che, prima dell’inizio della discussione generale e fino alla conclusione degli interventi del relatore e degli eventuali
relatori di minoranza, almeno quaranta componenti del Parlamento in seduta comune possano presentare ordini del giorno intesi a formulare proposte in difformità dalle conclusioni del Comitato.
Su tali ordini del giorno e sulle conclusioni del Comitato non è consentito di presentare emendamenti, se ordini del giorno non sono stati presentati ed il Comitato abbia proposto che si deliberi l’archiviazione, il Parlamento in seduta comune non può far altro che prendere atto delle decisioni del Comitato.
Se però ordini del giorno non siano stati presentati e il Comitato nella sua relazione proponga di
compiere ulteriori indagini intese a stabilire se in ordine a tali fatti la competenza appartiene al Parlamento, si fa luogo a votazione sulla competenza del Parlamento.
Se tale competenza risulta affermata o, similmente, laddove sempre in difetto di presentazione di ordini del giorno, sia stata respinta la proposta del Comitato di dichiarare l’incompetenza del Parlamento o quella di disporre un supplemento di indagini al fine della decisione sulla messa in stato d’accusa, il Presidente sospende la seduta per consentire al Comitato di formulare ulteriori conclusioni. In tal caso però siamo dinanzi ad una vera e propria momentanea sospensione della seduta, in quanto quando il Parlamento è riunito in seduta comune per un procedimento di accusa non sono ammessi rinvii, ma soltanto brevi sospensioni della seduta disposte insindacabilmente dal Presidente.

Qualora invece ordini del giorno siano stati presentati, l’ordine di votazione è il seguente 1) per prime sono poste in votazione le proposte volte a dichiarare l’incompetenza del Parlamento salvo che non vi siano state proposte volte a deliberare il compimento di ulteriori indagini volte a stabilire se la competenza in ordine ai fatti per i quali si procede appartenga al Parlamento in seduta comune. 2) Sono poi messe in votazioni quelle proposte volte a proporre lo svolgimento di un supplemento di indagini ai fini della decisone sulla messa in stato d’accusa. 3) Nel caso invece di reiezione delle prime 2 proposte concernenti la competenza e quelle intese a disporre un supplemento di indagini ai fini della decisione sulla messa in stato di accusa, non si fa luogo a votazioni sulle proposte di dichiarare non doversi procedere e su quelle di deliberare l’archiviazione, le quali si intendono nell’ordine approvate a meno che non siano state formulate altre proposte come ad esempio 4) quelle di deliberare la messa in stato di accusa del Presidente, proposte che sono messe in votazione per ultimo. La votazione avviene inoltre a scrutinio segreto.
Inoltre, nel mettere in accusa il Presidente della Repubblica, il Parlamento in seduta comune deve redigere un atto (d’accusa) all’interno del quale sono presenti le indicazioni degli addebiti e
delle prove su cui l’accusa si fonda. Infine il Parlamento nel porre in stato d’accusa il Presidente
elegge tra i suoi componenti uno o più commissari per sostenere l’accusa dinanzi alla Corte Costituzionale, questi esercitano sempre davanti alla Corte le funzioni del pubblico ministero e hanno la facoltà di assistere a tutti gli atti istruttori. Anche tali commissari d’accusa sono eletti a scrutinio segreto dal Parlamento in seduta comune, essi sono eletti tra i membri del Parlamento ed ogni parlamentare ha a disposizione un numero di voti pari a tanti quanti sono i commissari che devono essere eletti. Possono rifiutare la nomina entro 3 giorni, dandone notizia al Presidente della Camera, trascorsi tali 3 giorni non possono più rifiutarla. Non si fa luogo alla sostituzione di tali commissari finché ne rimanga in carica almeno uno; qualora tutti rifiutino la loro nomina o siano legittimamente impediti, il Parlamento deve riunirsi nuovamente in seduta comune entro dieci giorni per provvedere alla sua o loro sostituzione9.
E’ bene, inoltre, ricordare che come ultimo atto di tale fase del procedimento d’accusa, prima che la palla passi nelle mani della Corte Costituzionale, il Presidente della Camera dei Deputati, entro 2 giorni dalla deliberazione del Parlamento, trasmette l’atto di accusa al Presidente del Comitato, anche portare quest’ultimo ad effettuare una revisione delle sue conclusioni formulate in un primo momento.
Tuttavia il ruolo del Comitato appare centrale in tale processo, in quanto esso non soltanto ha tutti quei poteri che gli permettono di espletare le indagini nei confronti del Presidente della Repubblica ma anche nei confronti di qualsiasi soggetto (Presidente del Consiglio o semplici Ministri) che abbia concorso nei reati di cui all’articolo 90 della Costituzione, e di farlo con gli stessi poteri spettanti al Pubblico Ministero o al Giudice per le indagini Preliminari, entro il termine massimo di cinque mesi prorogabile una volta sola per un massimo di altri tre. Ma il suo ruolo è fondamentale soprattutto perché spetta poi solo ed esclusivamente ad esso, a conclusione dei propri lavori di indagine, prendere una decisione su quale opzione scegliere. Nel caso in cui esso opti per le opzioni numero uno o due e, dunque, opti per dichiarare la sua incompetenza ritendo il reato non inquadrabile ai sensi dell’articolo 90 o per disporre l’archiviazione del caso o procedimento, ravvisando la manifesta infondatezza delle notizie di reato, sarà impossibile per il Parlamento in seduta comune intervenire in merito in quanto non ci sarebbe l’apertura di quella fase successiva che lo vedrebbe protagonista.


Infatti il Parlamento in seduta comune potrebbe ribaltare una decisione del Comitato solo se si vedesse presentata da quest’ultimo una relazione e, dunque, si aprisse la fase successiva dinanzi al Parlamento in seduta comune, indipendentemente che l’esito di questa relazione sia di una proposta di conferire ad esso un maggior lasso di tempi ai fini di stabilire se il Parlamento ha competenza su tali fatti, oppure sempre una proposta di conferire ad esso un maggior lasso di tempo per compiere ulteriori indagini al fine di prendere una decisione sulla messa in stato d’accusa o ancora una proposta di incompetenza del Parlamento su tali questioni (tranne nell’unico caso in cui il Comitato delibera in tale relazione l’archiviazione del caso e da parte del Parlamento in seduta comune non sono stati presentati ordini del giorno), in tali casi potrebbe sempre tramite votazione portare il Comitato anche a modificare le sue conclusioni o comunque ribaltare quanto proposto dal Comitato. Va però osservato come ulteriore arma a favore del Parlamento in seduta comune risiede nel fatto che esso, anche nei primi due casi in cui il Comitato decide di non relazionare ma bensì di archiviare, entro dieci giorni dalla trasmissione dell’ordinanza di archiviazione, con almeno 1⁄4 dei componenti del Parlamento in seduta comune, può comunque chiedere al Comitato di presentare una relazione come nel caso terzo.
Il giudizio sulle accuse nei confronti del Presidente della Repubblica e di ogni altro eventuale coimputato, in connessione con il Presidente per i reati ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione, viene compiuto dalla Corte Costituzionale in una particolare composizione allargata. Infatti ai 15 Giudici ordinari vengono, in tal caso, aggiunti altri 16 membri aggregati, i cosiddetti giudici aggregati, tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, elenco che il Parlamento compila ogni 9 anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. Pertanto visto che i giudici della Corte costituzionale che nomina il Parlamento sono eletti da questo in seduta comune delle due Camere, a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea e dato che per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti l’Assemblea, tali maggioranze sono richieste anche per redigere tale elenco di cittadini dal quale sono estratti a sorte i 16 giudici aggregati. Tale elenco di giudici aggregati è costituito da 45 persone, qualora tale elenco si riduca a meno di 36 persone, il Parlamento in seduta comune provvede con le stesse modalità ad elezioni suppletive; i nomi di tutti coloro che sono eletti sono immediatamente comunicati al Presidente della Corte Costituzionale e ai Presidenti di Repubblica e Camera. Con riguardo ai giudici aggregati possiamo dire che innanzitutto essi non necessariamente devono possedere quegli stessi requisiti di professionalità sul piano giuridico che, invece, devono possedere tutti i giudici, da quelli ordinari a quelli costituzionali; sono in maggioranza, 16 a 15, rispetto ai giudici costituzionali ordinari e tale maggioranza è chiamata a sussistere per tutto il giudizio, anche qualora nel corso di questo vi sia una riduzione del collegio giudicante. Tali 2 circostanze rafforzano l’influenza del Parlamento all’interno della Corte Costituzionale e dunque rafforzano gli aspetti “Politici” del giudizio.


Con riguardo al Giudizio, questo si articola analogamente ad un qualsiasi processo penale, osservandosi infatti tutte le norme del codice penale. Abbiamo, pertanto, una prima fase istruttoria, nella quale vi è una ricognizione e successiva valutazione di tutti gli elementi rilevanti per la decisione finale, cui segue una fase dibattimentale. A questo punto la Corte Costituzionale potrebbe, in via preventiva e d’ufficio, adottare eventuali provvedimenti cautelari e coercitivi che ritenga opportuni, un esempio potrebbe essere una temporanea sospensione del Presidente della Repubblica dalla sua carica. Qualora il presidente della Repubblica sia poi condannato, la Corte Costituzionale può determinare le sanzioni penali nel limite massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto11, nonché tutte le sanzioni costituzionali, amministrative e civili che essa ritenga più adeguate, esempi possono essere la decadenza dalla carica di Senatore a vita o la perdita di tale diritto in prospettiva futura, la rimozione dalla carica di Presidente della Repubblica, la perdita di un bene, una somma da versare a titolo di risarcimento del danno.
Tali sentenze non possono essere impugnate, possono soltanto essere sottoposte a revisione da parte della stessa Corte e con sua ordinanza qualora, dopo la condanna, sopravvengano o vengano alla luce nuovi fatti o nuovi elementi di prova che, da soli oppure insieme a quelli già esaminati nel procedimento, rendano evidente l’estraneità dell’imputato con riguardo ai fatti o magari l’insussistenza del fatto. Tale sentenza di condanna non impugnabile non vale soltanto nei confronti del Presidente della Repubblica ma anche nei confronti di tutti coloro che sono insieme a lui coimputati e che, dunque, hanno a disposizione un solo grado di giudizio; tale lesione del diritto all’effettiva tutela giudiziale per i coimputati viene giustificata, secondo quanto affermato dalla Corte, dall’esigenza di valutare unitariamente e nell’ambito di un solo processo e procedimento tutti quei comportamenti che vanno a concretizzare i reati di cui all’articolo 90 della Costituzione chiunque li compia.


Concludiamo il seguente capitolo, facendo notare che i reati ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione possono essere compiuti appunto non dal solo Presidente della Repubblica ma anche da altri. La Corte può dunque giudicare per i reati presidenziali non soltanto il Presidente della Repubblica ma anche altri eventuali soggetti laici e non, come ad esempio il Presidente del Consiglio dei Ministri. L’attuale disciplina, a differenza della precedente, sembra prevedere il giudizio della Corte per soggetti terzi (politici o laici che siano) non soltanto per i reati connessi in senso stretto ma anche per una connessione di tipo teleologica ovvero strumentali al conseguimento dei reati di cui all’articolo 90 della Costituzione. Resta il fatto che se non c’è alcun dubbio sul fatto che la Corte possa giudicare anche persone diverse dal Presidente richiedendo eventuali atti all’autorità giudiziaria o militare, resta però il fatto che essa giudica solo ed esclusivamente sui reati presenti nell’atto di accusa; se dunque la Corte vuole poter giudicare per un reato connesso (in senso stretto o teleologicamente) ai reati di cui all’articolo 90 della Costituzione, che però non sia compreso nell’atto d’accusa licenziato dal Parlamento in seduta comune, deve sospendere il giudizio ed aspettare un eventuale revisione dei reati presenti in questo dal Parlamento in seduta comune12. Vari sono gli argomenti a sostegno del meccanismo connessione: innanzitutto quello secondo cui conviene non separare situazioni unitarie e dunque un complesso di atti criminosi, inoltre, seppure la giustizia politica dovesse apparire vantaggiosa o di favore, allora, a maggior ragione, conviene estenderne la portata ad eventuali imputati laici, infine, il rischio, in assenza di processi simultanei, è quello di giudicati diversi.
Tuttavia sono state avanzate anche ragioni contrarie a tale istituto, come anche prima accennato, (diritto all’impugnazione in Cassazione, principio di eguaglianza, principio del giudice naturale) va però sempre ricordato che la connessione è possibile e non dovuta.

Simone Masi