Dell’autonomia differenziata si parla molto poco, anche se ultimamente, soprattutto a causa delle pressioni politiche di alcune Regioni del nord, gli esperti di questa branca del diritto pubblico sono tornati ad analizzare gli effetti di una possibile riforma che cambierebbe radicalmente gli assetti politici ed amministrativi del nostro Paese.
Data la complessità della materia, ho deciso di condividere questo approfondimento in due distinte analisi: una prima, di cui tra poco illustrerò i caratteri, che si concentrerà sugli aspetti negativi di una eventuale applicazione delle disposizioni di cui all’art. 116 comma 3 della Costituzione; una seconda ed ultima analisi, che verrà esposta nei prossimi giorni, che verterà invece sugli effetti positivi che comporterebbe l’applicazione di ulteriori forme e condizioni di autonomia che possono essere attribuite alle Regioni.
Il 22 ottobre 2017 in Lombardia e Veneto si è svolto un Referendum consultivo, deliberato dai consigli regionali e finalizzato a conoscere il parere degli elettori in ordine alla possibile richiesta d’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia ai sensi dell’art. 116 comma 3 della Costituzione. Lo scopo principale dei due governatori, Roberto Maroni e Luca Zaia, era quello di utilizzare il referendum in questione come arma di pressione sul tavolo delle trattative con il governo per chiedere maggiore autonomia, in particolar modo nell’ambito fiscale. Allo stesso tempo, la Regione Emilia-Romagna si è invece attivata, il 3 ottobre 2017, su impulso del Presidente della Regione, attraverso l’approvazione da parte dell’Assemblea regionale di una risoluzione per l’avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione dell’intesa con il Governo. Ricordiamo che la procedura per la richiesta di maggiore autonomia può essere avviata da qualsiasi Regione; dopo il raggiungimento di un accordo con il Governo, questo deve essere approvato da Camera e Senato a maggioranza assoluta.
Il Governo nazionale aveva espresso la propria soddisfazione sul Referendum dal momento che le istanze di autonomia presentate dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna non sembravano sfociare in azioni indipendentiste come quella della Catalogna, proprio perché rientravano nella previsione prevista dall’art. 116 comma 3 della Costituzione.
È certamente innegabile che le ragioni storiche e culturali, fra la regione catalana e le regioni italiane in questione, siano completamente differenti: esse non godono del medesimo livello di autonomia e gli idiomi locali non sono lingue ufficiali al pari dell’italiano. Apparentemente, quindi, non ci sarebbe alcun motivo per temere derive indipendentiste. Tuttavia però, va ricordato, che il vero obiettivo di Maroni e Zaia è quello del federalismo fiscale, che è anche il medesimo e reale obiettivo che sta alla base della spinta indipendentista catalana. Sotto questo profilo possiamo trovare infatti una particolare e fondamentale analogia: la Catalogna contribuisce al 19% del PIL spagnolo e riceve meno di quanto versa, così come accade per la Lombardia e il Veneto.
Le regioni del Nord, sostanzialmente, chiedono che, attraverso l’autonomia, le entrate fiscali restino sul territorio dove sono state raccolte. Il governatore del Veneto Luca Zaia ha sostenuto che con la riforma sarà possibile trattenere fino ai nove decimi delle tasse riscosse nella regione; attualmente una grossa parte viene raccolta dallo Stato e redistribuita alle regioni italiane più povere. Sono in molti a temere che il vero obiettivo della concessione di maggiore autonomia sia ridurre il flusso di risorse dalle aree più ricche a quelle più povere del paese.
La SVIMEZ, il centro studi per lo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno, in un’analisi sul “federalismo differenziato”, elaborata dal Presidente Adriano Giannola e dal professor Gaetano Stornaiuolo della Federico II di Napoli, manifesta «molte perplessità sulle modalità di finanziamento dell’autonomia differenziata: la pretesa di trattenere il gettito fiscale generato sui territori è infondata, inconsistente e pericolosa». Le richieste di autonomia avanzate dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, «in assenza di riforme costituzionali», potrebbero innescare «un percorso verso un sistema confederale, nel quale alcune Regioni si fanno Stato, cristallizzando diritti di cittadinanza diversi in aree del Paese differenti mettendo così a rischio l’unità nazionale».
Le ragioni economiche sono quelle che maggiormente muovono il sentimento separatista ma anche l’autonomia su altre materie essenziali, previste dall’art. 116, in un arco temporale decisamente ampio, potrebbero alimentare un nuovo sentimento di indipendenza. A tal proposito, l’autonomia differenziata porterà le Regioni interessate ad avere maggiori poteri in materia di porti ed aeroporti, in materia di commercio con l’Estero, in materia di trasporti e di tutela dei beni culturali. Continuando sulla scia del parallelismo con la Catalogna analizziamo come la città di Barcellona, grazie al suo aeroporto e al suo porto, sia potuta diventare una città economicamente e culturalmente vivace in grado di accogliere ogni anno milioni di turisti e studenti stranieri. Con la dovuta ed opportuna cautela potremmo sottolineare l’importanza commerciale e turistica di uno dei più importanti porti del Mediterraneo, il porto di Venezia, ma anche la funzionalità dell’aeroporto di Linate che è stato fondamentale strumento per la realizzazione di grandi eventi di carattere mondiale come l’EXPO nel 2015, e l’importanza che potrebbero rivestire in vista dei giochi olimpici invernali del 2026 che vedranno protagoniste le città di Milano e Cortina d’Ampezzo.
La Catalogna ha recepito anche l’importanza del sistema scolastico all’interno del progetto di recupero dell’identità catalana, dopo anni di repressione politica e linguistica, che ha favorito il regionalismo in contrapposizione al valore dell’unità nazionale. Va inoltre sottolineato che nella comunità catalana non si insegna il catalano ma si insegna in catalano. Durante la scuola dell’obbligo, la lingua ufficiale spagnola (il castigliano), viene trattato alla stregua di una lingua straniera. Il catalano viene utilizzato anche come elemento di coesione sociale: le radio, i giornali, la televisione e perfino Google sono in catalano. È certamente lecito considerare che il sentimento separatista che caratterizza il Nord-Est dell’Italia, e che ha caratterizzato l’ormai ventennale storia politica della Lega Nord, possa essere oggetto di riscoperta in caso di maggiore autonomia in materia di istruzione e ordinamento della comunicazione in capo alle Regioni interessate all’autonomia differenziata.
Certamente queste proposte non giovano ad una auspicabile coesione nazionale. Ricordiamo, a tal proposito, che la condizione di “Regione a statuto speciale” riconosciuta in virtù di ben più profonde ragioni, ha creato, nel corso del tempo, una disparità anche da un punto di vista economico e finanziario poiché uno dei maggiori vantaggi dell’autonomia speciale consente alle regioni che ne godono di poter, ad esempio, avere un rapporto finanziario differenziato che permette loro di poter istituire, con legge, dei tributi propri che vengono poi investiti per la maggior parte sul territorio a cui sono riferibili. Basti pensare che nel 2013 la spesa media pro capite delle Regioni ad autonomia speciale era quasi doppia di quella delle Regioni ad autonomia ordinaria.
Domiziano Salvati.