Il mondo è in crisi.
Sono evidenti le criticità che connotano i tempi moderni, soprattutto se volgiamo lo sguardo alle notizie di cronaca di questi giorni. Una crisi non solo economica ma anche sociale, politica, spirituale e da qualche settimana anche sanitaria. Una crisi che potremmo definire universale poiché travolge ogni ambito della vita pubblica dei popoli e privata dei singoli individui, avendo distrutto non solo i diritti sociali dei primi, attraverso la costruzione di un sistema basato sull’esaltazione spasmodica e incondizionata del mercato, ma anche i suoi valori spirituali in virtù di un’esistenza sempre più materialista e nichilista, basata sulla logica del guadagno individuale da interporre ad ogni ulteriore interesse che non corrisponda a quello personale. L’individualismo borghese dilaga imperante al punto che oggi parlare di popolo risulta fuorviante e ciò si riversa sui singoli individui i quali, non sentendosi più membri di una comunità che li lega tra di loro per tradizione, storia, lingua, valori e costumi, oramai percepiscono l’esistenza circoscritta alla loro mera dimensione personale, elevando “l’io” a fine supremo della vita, dell’essere, così da generare un’invidia reciproca tra gli stessi piuttosto che uno spirito di collaborazione al fine di perseguire uno scopo comune. Tuttavia, in questo scritto, noi ci occuperemo della crisi politica del mondo moderno, oggi resa ancora più evidente dalla diffusione del virus Covid-19.
La vicenda sanitaria che oggi imperversa in tutto il mondo sta mettendo a nudo le fragilità di un sistema politico eccessivamente debole, incapace di assumere decisioni coerenti e incisive, inetto innanzi alle problematiche che stanno emergendo ed irresponsabile per l’aver sottovalutato una crisi che stava da tempo mettendo in ginocchio la Cina. Tuttavia la nostra critica non si limita ad analizzare la debolezza di tale sistema, circoscrivendola all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, ma intende avvalorare la tesi per cui le fragilità che si stanno manifestando non sono una mera degenerazione ma una conseguenza ontologica di un ordine politico fallimentare.
Definire il sistema politico, oggi vigente, come incapace, inetto e irresponsabile risulta essere anche benevolo se si tengono in considerazione di tutte le disfatte che questo ha provocato e sta continuando a cagionare. L’emergenza sanitaria sta enfatizzando le debolezze della politica, che non sarebbe meritevole di essere chiamata ancora in tal guisa: se noi per politica intendiamo la capacità di prendere decisioni, risulta evidente di come questa non possa essere concepita come tale.

La politica del mondo moderno è l’espressione ultima del “compromesso” il quale, corrispondendo solo in apparenza alla sintesi di una tesi e di un’antitesi, frutto di un confronto tra idee differenti, altro non rappresenta che un’abdicazione totale al decisionismo: in nome del compromesso stipulato, le parti coinvolte rinunciano in guisa reciproca alle loro posizioni originarie per avvicinarsi a quelle altrui, così da garantirsi un “paracadute di irresponsabilità” qualora il corso degli eventi dovesse precipitare ovvero con tale formula noi intendiamo che le parti interessate potrebbero sempre scaricare la responsabilità di eventuali eventi pregiudizievoli, derivanti dall’insoddisfacente incisività dei provvedimenti adottati, sulla controparte con la quale ha stipulato il compromesso stesso.
Il luogo di questa miseria è il Parlamento, il quale non può essere inteso come tempio della democrazia, del dialogo e del confronto, ma risulta essere il Teatro della disgregazione pluralista. Teatro perché la peculiarità della politica del mondo moderno consiste nell’inscenare, nel recitare copioni predefiniti, nel presentare come vero una realtà creata fittiziamente, al solo scopo del perseguimento di un maggiore consenso. Per Disgregazione pluralista, invece, noi intendiamo l’incapacità ontologica dei partiti di unificare il popolo per guidarlo verso scopi comuni. I partiti si rivolgono al popolo, innanzitutto, concependo questo solo come bacino di elettori e di conseguenza portando allo scontro tra gli stessi: il dramma consiste che, in una Stato di tal genere, non ci si differenzia soltanto sui mezzi funzionali al perseguimento di un fine condiviso ma anche e soprattutto su cosa sia quest’ultimo: in una partitocrazia non risulta essere chiaro lo scopo che si pone il governo (inteso questo come potere costituito), a tal punto che alcuni schieramenti professano orgogliosamente la dissoluzione della Patria stessa al fine di legittimare dimensioni sovranazionali anti-popolari, anti-asociali e anti-nazionali.
Il sistema politico del compromesso, inoltre, porta necessariamente alla corruzione degli uomini, intendendo questa non solo nella sua accezione penalistica, ma anche nelle sue vesti morali ed etiche. La corruzione dilaga in guisa inarrestabile al punto da aver sopito ogni valore e sentimento, edificando un’esistenza nichilista, un mondo in cui se Dio è morto tutto è permesso, dissolvendo quindi la civiltà umana avendola portata alla sua degenerazione. I partiti, piuttosto che porsi come alternativa a tale status quo, si presentano come i sicari di quei valori di cui si sente un necessario bisogno, la cui professione, però, risulta oggi essere ossimorica e folle.

L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, come già detto, sta enfatizzando tali debolezze del sistema politico al punto che spesso si sente dire che, per uscire da tale situazione, si necessiterebbe dell’uomo forte e autorevole. Tuttavia l’esaltazione bonapartista di tale uomo risulta essere fallimentare alla medesima stregua dello stesso sistema politico prima criticato. Si deve comprendere che il governo di uno Stato, di una comunità, non può essere delegato al singolo, affidandosi alle sue capacità, o presunte tali, e confidando che grazie ad esso le problematiche cesseranno, come d’incanto.

L’organizzazione di una collettività, quindi, non può essere improvvisata sulle qualità del singolo, ma deve essere edificata su una visione globale dello Stato che abbracci ogni ambito: economia, cultura, assistenza, previdenza, politica e diritto. In uno Stato di tal genere questo abbraccia tutto il sociale, a tal punto che niente possa considerarsi come non politico e non statale. I tempi che corrono necessitano di una nuova visione dello Stato e delle istituzioni. L’epoca dello Stato neutrale è cessato definitivamente e una sua predicazione risulta anacronistica. Separazioni antitetiche come Stato e economia, Stato e diritto, Stato e politica sono venute meno, ed è in questa desolazione che sorge l’alba della mobilitazione totale, dello Stato totale, che abbia le capacità di intervenire in ogni settore della società, che sia in possesso degli strumenti per intervenire sul livello dei salari e che possa, in definitiva, garantire il benessere generale, vero ed esclusivo scopo del governo. Individuato il fine di quest’ultimo ecco che appaiono fuorvianti tutte quelle correnti di pensiero che esaltano in guisa incondizionata i governi c.d. liberi: con tale paradigma si intendono quei sistemi che riconoscono e attribuiscono diritti e libertà politiche, come se queste ultime fossero meritevoli di elogio indipendentemente dall’utilità che possono arrecare, come se le stesse avessero un valore precostituito tale da essere difeso ad ogni costo.
Tali correnti di pensiero, quindi, confondono i mezzi di cui il governo si avvale, strumentali alla realizzazione dei suoi scopi, con il fine che lo stesso dovrebbe garantire: il benessere generale, o meglio nazionale, corrisponde ed equivale a tale fine e il suo perseguimento può coronarsi sia attraverso il riconoscimento delle libertà politiche sia attraverso l’imposizione dei doveri assoluti. Risulta chiaro come il mondo moderno abbia rinunciato in guisa assoluta a esigere il rispetto di siffatti doveri, esaltando esclusivamente i diritti e le libertà politiche così da costruire una società debole, un governo debole, uno Stato debole. Ciò è pericoloso perché uno Stato eccessivamente debole non è in grado di difendersi da eventuali attacchi, militari e non, basti solo guardare la cronaca di questi giorni.
La plebe non ha che orecchie se non per i propri diritti, li esalta e li rivendica perché non riesce a sopportarne una loro restrizione, soprattutto se ciò dovesse giustificarsi per perseguire interessi superiori, collettivi e nazionali. La fuga nelle stazioni di queste ore è la manifestazione più barbara dell’egoismo imperante di questo mondo moderno. Tale evento è la conseguenza naturale di una società nata ed educata all’esaltazione straziante della libertà individuale, la quale viene presentata come bene massimo dell’esistenza umana, così da dimenticare la presenza della dimensione pubblica, ovvero il fatto che non può esistere l’io senza il noi, il cittadino senza lo Stato.
Gli atteggiamenti irresponsabili di molti in questo periodo ci porta ad analizzare un ulteriore aspetto, ennesima raffigurazione delle rovine di questo mondo. Vedere persone che irrazionalmente prendono d’assalto le stazioni e i vagoni dei treni per rifugiarsi, per scappare dal virus, disobbedendo in guisa evidente alle raccomandazioni e ai provvedimenti adottati dal governo, mostra l’eccessiva debolezza di quest’ultimo, il quale risulta essere incapace, in definitiva, di assolvere ai suoi compiti “di condurre la nave in un porto sicuro”. Se un popolo non obbedisce al suo governo dimostra come quest’ultimo sia sostanzialmente inesistente. Nessuno dubita della sua legittima costituzione, analizzandolo sotto il profilo del diritto costituzionale, ma questo evidenzia solo uno dei due elementi essenziali affinché un governo possa considerarsi effettivamente legittimo: potremmo dire che il governo, oggi in carica, sia de jure ma non de facto. Da ciò ne deriva l’illegittimità sostanziale di un governo il quale risulta essere sia inetto dinnanzi alle problematiche attuali sia incapace di darvi risoluzioni.
In questa situazione disperata, tuttavia, un’eccellenza autenticamente italiana è meritevole di elogio e plauso da parte di tutto il mondo: la sanità pubblica.

Il relativo orgoglio, però, lo si può circoscrivere esclusivamente all’ammirevole dedizione che i nostri medici mettono nell’adempimento ai loro doveri. Ma anche in tale settore un dato drammatico imperversa: negli ultimi decenni sono stati significativi i tagli realizzati dai vari governi nei confronti della sanità, al punto che oggi le strutture medico-sanitarie non hanno le risorse sufficienti per affrontare un’eventuale peggioramento della crisi epidemica. Da qui, approfittando di tale situazione specifica, ne deriva una considerazione di prim’ordine che concerne il ruolo della politica la quale, negli negli ultimi anni, è divenuto sempre più marginale rispetto alla centralità che l’economia ha acquisito, al punto che oggi la prima si pone come mero strumento servile della seconda, agevolando ogni esigenza dei mercati e della finanza, ponendo in secondo piano tutte le necessità reali ovvero del popolo e dei lavoratori. In nome del pareggio di bilancio si sono distrutti i diritti sociali, in nome del processo d’integrazione europea si è dispersa la sovranità dello Stato, in nome della globalizzazione si chiede, infine, che quest’ultimo venga definitivamente meno cosicché la politica possa abdicare del tutto in nome degli elitari interessi economici.
Lo Stato deve essere minimo, non deve essere presente nel mercato, non deve interferire in alcun modo nelle vicende economiche: lo Stato in pratica non deve esistere. Se a ciò si aggiunge che cessioni di sovranità si sono già avute sul piano bancario, monetario ed economico al punto che lo Stato, non detenendo più la moneta, essendo costretto ad indebitarsi così da mettersi “sotto scacco” dei suoi creditori, atteggiandosi necessariamente come un umile arlecchino alla corte dell’élite finanziaria, non riuscendo più a garantire quei servizi essenziali affinché la vita pubblica possa essere espressione di benessere sociale, tradisce le sue prerogative, abdica alle sue funzioni e abbandona i suoi figli, il suo popolo. Tutto ciò provoca quei tagli di cui prima a tal punto che oggi se ne scontano le relative conseguenze. Inoltre, avendo ormai lo Stato perso tutti i suoi strumenti vitali per intervenire nell’economia in nome delle privatizzazioni a inizio anni ‘90, questo è incapace a fronteggiare la crisi economico-finanziaria che incombe, indi per cui per risanare la crescita inevitabile del debito pubblico si insisterà sulle formule neo liberiste nel nome del “ce lo chiede l’Europa”.
Noi allora domandiamo, con molta umiltà :”perché oggi lo Stato è costretto ad agire nel nome di tutto e di tutti tranne che nel nome del suo popolo?”
Quesito da sottoporre sia agli eurocrati sia ai loro sostenitori, anche più radicali, nella consapevolezza di ottenere solo il loro silenzio.
Non esiste più alternativa: qui inizia il processo al mondo moderno, il quale non può non sentirsi sotto accusa per le crisi che questo, in guisa costante, cagiona e provoca. Qui noi chiediamo la massima pena a tutti i responsabili e complici, morali e politici, per aver edificato un mondo così fallimentare e fragile. Qui noi reclamiamo le scuse per aver tradito secoli di conquiste sociali, culturali e spirituali. In attesa della risposta dei difensori di questo mondo, in ossequio al principio del contraddittorio che non intendiamo violare, noi pretendiamo che almeno per questa volta ci si possa pronunciare “nel nome del popolo italiano”. Tutto questo era per dire che, pur nella consapevolezza dell’assenza di un tribunale il quale possa effettivamente giudicare ed eventualmente condannare siffatto mondo, noi confidiamo nell’unico giudice imparziale e terzo che si possa avere: la Storia.