“Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi”.

Queste le parole registrate su un nastro ad opera dei carnefici della strage di via Acca Larenzia, compiuto nel lontano 7 gennaio 1978, a nome dei Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale.


Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta morirono nel raid. Insieme agli altri ragazzi della sezione, stavano preparandosi per andare a distribuire dei volantini per un concerto di musica alternativa. Gli altri ragazzi, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini e Giuseppe d’Audino rimasero feriti, riuscendo a rientrare nella sezione, chiudendo la saracinesca dietro di sé.

Stefano Recchioni morirà durante la protesta spontanea creatasi subito dopo l’accaduto, per colpa di un proiettile sparato dal capitano dei carabinieri Edoardo Sivori. Verrà poi indagato e infine prosciolto. L’anno seguente, durante la commemorazione dell’accaduto, perderà la vita anche il giovane Alberto Giaquinto, sempre ad opera di un membro delle forze dell’ordine, Alessio Speranza. Una data lorda di sangue.


Acca Larentia rappresenterà un simbolo per i giovani della destra del Movimento Sociale Italiano, alcuni dei quali entreranno in crisi con il partito, sentendosi abbandonati. Un triste simbolo per la Nazione intera. Erano gli anni di piombo, dove divenne celebre lo slogan “uccidere un fascista non è reato”, diventato poi una sorta di etichetta di quel periodo sanguinoso. Ricordare questi nomi significa commemorare dei ragazzi caduti per un’idea. Ragazzi che lottarono come leoni contro un mondo che nella migliore delle ipotesi gli volgeva le spalle. Il resto sparava. Perché quella bandiera doveva rimanere alta.
Ieri, oggi e domani:
a Franco, Francesco e Stefano, figli d’Italia.