“Su istruzioni del presidente i militari americani hanno intrapreso una decisa azione difensiva con l’uccisione del generale Qassem Soleimani per proteggere il personale americano all’estero”.

Questo l’inizio del comunicato diramato dal Pentagono nella giornata di ieri che ha senza ombra di dubbio segnato l’inizio della nuova decade sancendo il punto di rottura, dei già morenti, rapporti diplomatici tra Teheran e Washington. Nella notte del 3 gennaio infatti, in un raid aereo contro l’aeroporto di Baghdad, Qassem Soleimani e Abu Mahdi Al-Muhandis, sono stati uccisi.

Soleimani era a capo delle Forze Quds, le unità speciali del corpo delle guardie della rivoluzione islamica fin dal 1998, ed era considerato il punto di riferimento strategico per gli ayatollah, tanto da venir definito persino dalla CIA come “La persona operativa più potente in Medio Oriente”. Negli ultimi vent’anni si era reso protagonista di tutte le iniziative internazionali iraniane, riuscendo a rafforzare il peso di Teheran anche in Iraq e in Siria, era inoltre stato considerato un prezioso alleato da parte dell’amministrazione americana nella guerra contro i talebani, almeno fino all’11 settembre 2001, quando a seguito dei devastanti attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono l’allora presidente George W. Bush aveva inserito l’Iran “nell’Asse del Male”. A seguito di quell’avvenimento divenne evidente come per Soleimani dover infliggere colpi mortali e ingenti danni all’ex alleato americano fosse un pensiero fisso. Col passare del tempo aveva poi stretto un saldo legame con Hezbollah, il noto gruppo armato libanese al quale fornì armi, soldi e supporto. Con Hezbollah arrivò anche il sostegno ad Assad in Siria. Inoltre, sotto il suo comando, le truppe iraniane ed irachene, riportarono numerose vittorie contro l’ISIS, riuscendo poi definitivamente a fermarne l’avanzata. I suoi successi ebbero un riscontro fortissimi in patria, tanto da essere considerato quasi una celebrità e più popolare del presidente Rohani, fino a far circolare voci su una sua possibile candidatura alle elezioni del 2021, da lui sempre respinte.


Sostanzialmente per l’Iran, la figura del generale non rappresentava solo un capo militare, ma un vero e proprio simbolo dell’orgoglio nazione e della resistenza contro le sanzione americane.
Ma il generale non è stata l’unica vittima eccellente del raid, Al-Muhandis era infatti il capo delle forze iraniane paramilitari, Hashd Shaabi, e della Brigata Hezbollah che operano in Iraq.


Dal Dipartimento della Difesa statunitense arrivano le motivazioni di questo attacco, sostenendo che l’operazione sia stata pianificata sia a seguito degli scontri che hanno riguardato l’ambasciata statunitense in Iraq, in cui Soleimani sarebbe stato coinvolto, ma soprattuto per disinnescare l’attuazione di un prossimo attacco che si sarebbe dovuto verificare contro il personale diplomatico americano impiegato in quelle zone, attacco di cui però mancano ancora le prove. È in dubbio che quanto accaduto stanotte rappresenterà sicuramente uno spartiacque per il Medio Oriente, secondo alcuni si tratta di una vera e propria dichiarazione di guerra, Teheran vorrà senza ombra di dubbio vendicare l’eliminazione di uno dei suoi più carismatici capi militari e soprattutto portare avanti il lavoro svolto fino ad ora da Soleimani, portando l’escalation contro gli Stati Uniti a ben più alti livelli:”L’atto degli USA di terrorismo internazionale, che ha preso di mira e assassinato il Generale Soleimani, la forza più efficace nella lotta a Daesh, al Nusrah e al Qaeda, è estremamente pericoloso e rappresenta un’incosciente escalation” ha twittato il ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif; “Gli iraniani e altre nazioni libere del mondo si vendicheranno senza dubbio contro gli Usa criminali per l’uccisione del generale Qassen Soleimani”: ha poi dichiarato il presidente iraniano Hassan Rohani come riportato dall’agenzia stampa IRNA. “Tale atto malizioso e codardo è un’altra indicazione della frustrazione e dell’incapacità degli Stati Uniti nella regione per l’odio delle nazioni regionali verso il suo regime aggressivo. Il regime americano, ignorando tutte le norme umane e internazionali, ha aggiunto un’altra vergogna al record miserabile di quel Paese”.

Insomma, lo scenario di una guerra, anche se risulta essere un’opzione per ora scartata da vari analisti, potrebbe essere ancora una possibilità, dato che l’omicidio di una delle personalità più importanti ed influenti, non solo dell’Iran, ma dell’intero Medio Oriente viene considerata come il superamento di quella linea rossa, da non superare. Se però ci sarà davvero una guerra, questa non sarà uguale a quelle viste fino ad ora, di certo non si tratterà di uno scontro frontale tra uno degli eserciti meglio organizzati al mondo e un paese pesante armato ma non in grado di organizzarsi, quella che si profila sembra essere un guerra su più livelli, che coinvolgerà probabilmente tutti gli attori internazionali in quella parte di mondo, dall’iraq all’Arabia Saudita e probabilmente oltre.


Il nostro paese e soprattutto i nostri militari, impegnati in diverse missioni tra Iraq e Libano non sembrano però per ora particolarmente esposti, militarmente parlando, anche se si sta attendendo la risposta di Teheran. Secondo il generale Marco Bertolini, comandante operativo di vertice interforze (Coi) e della brigata paracadutisti Folgore, l’attacco di stanotte potrebbe avere conseguenze pericolose anche in nord africa e nel mediterraneo. Secondo lui si sta delineando “un contesto in cui nessun Paese responsabile può permettersi posizioni di disarmo unilaterale o di rinuncia alle proprie responsabilità in ambito internazionale”. Il riferimento all’Italia è “che tuttavia sembra desiderosa di rinchiudersi nel proprio orticello”. Ciò che rischia il nostro paese è di veder vanificati investimenti in quelle zone, se contare un aumento del prezzo del greggio.

È invece della notte tra il 3 e il 4 gennaio la notizia di un secondo raid aereo americano su un convoglio delle milizie sciite irachene, si sta delineando quella che per Washington sembra essere una strategia del “Kill Them All”, arrivando a voler eliminare la catena di comando iraniana con l’intento di voler limitare un’organizzata risposta nell’immediato futuro. Washington in queste ore cerca di giustificare questa gravissima escalation dichiarando, come twittato dal vicepresidente Pence, che Soleimani aveva contribuito alla copertura di 10 degli 11 attentatori dell’11 settembre, cosa da smentire dato che tutti gli attentatori erano sunni-salafiti, quindi non sciiti e avevano profondi legami con l’Arabia Saudita che è da sempre il nemico numero uno dell’Iran.

FONTI: internazionale.it , reportdifesa.it , formiche.net.

Giampaolo.