Palazzo Bonaparte, viene inaugurata il 31 Ottobre 2023 una mostra dedicata a Maurits Cornelis Escher. “La domanda più frequente che viene rivolta è «E chi è Escher?»”, come testimonia il Presidente del Gruppo Artemisia, azienda leader dell’organizzazione di esposizioni, Iole Siena. Eppure, quando vengono proposte le opere, tutti rimangono attoniti e la risposta è sempre la stessa: “Ah sì, ora ho capito!”. Forse è proprio questo il segreto del successo del nostro genio: il nome è conosciuto sicuramente da pochi, ma i suoi capolavori si ripropongono nell’immaginario di chiunque, tanto da essere ripresi dalla cultura novecentesca e contemporanea per la curiosità che suscitano. Le geometrie impossibili e le prospettive uniche presenti nelle sue rappresentazioni avevano lasciato esterrefatti anche i Pink Floyd, ai quali lo stesso Escher concesse l’uso di una sua litografia per renderla protagonista della copertina di una loro cover, “On the run”.
Durante la mostra, una bambina si ferma perplessa davanti alla “Relatività”, una delle opere sicuramente più celebri dell’artista. La osserva confusa: non comprende come quell’intreccio apparentemente assurdo di scale possa essere reputato un capolavoro. La madre con dolcezza interviene, illustrandole come la magia in quella litografia risieda nel fatto che Escher abbia deciso di costruire quel mondo ideale sulla base di 3 diversi pozzi di gravità, in ognuno dei quali venivano applicate le normali leggi della fisica. Il commento della bambina fa certamente sorridere: “Mamma, pensa quanto si è divertito nel farlo!”. Eppure, un’espressione che potrebbe risultare inizialmente banale aveva colto, nella sua ingenuità, l’intento artistico delle composizioni: lo stesso Escher, definendo il suo mestiere, aveva sostenuto come esso fosse “un gioco, un gioco molto serio”. E proprio a partire da questa frase possiamo iniziare a definire l’attività artistica del nostro litografo olandese, il quale ha cercato, durante tutta la sua carriera, di rendere possibile il connubio tra fantasia e geometria. Nonostante le conoscenze matematiche di Escher fossero principalmente visive, è ancora oggi studiato dalla comunità scientifica internazionale per la sua capacità di rappresentare l’infinito, l’eternità e la ciclicità secondo delle vere e proprie leggi della fisica. Tuttavia, l’amore per l’arte del genio inizialmente si manifestò con uno specifico interesse nei confronti dei paesaggi naturali, in particolare quei paesaggi che solo in un Paese del mondo riuscì ad apprezzare: parliamo dell’Italia. “Il mio cuore non potrebbe assorbire con maggiore gratitudine, né il mio animo con maggiore sensibilità, l’atmosfera assolutamente nuova nella quale mi trovo a vivere, che mi offre ogni giorno questo posto benedetto.” Queste le parole estasiate di Escher di fronte alla costiera amalfitana, della quale, tra l’altro, conservava una foto nel suo amato studio. Un’altra grande ispirazione per l’artista è stata sicuramente anche la “città eterna”, Roma, dove visse dal 1923 al 1935 e in cui frequentò anche le lezioni di storia dell’arte del Professor Adolfo Venturi presso l’Università La Sapienza di Roma. Alla capitale del Belpaese dedicò 12 xilografie, intitolate nel complesso “Roma notturna”, che riuscì a realizzare tramite il semplice utilizzo di una torcia e un cavalletto da viaggio, dato che non vi erano ancora mezzi sufficientemente tecnologici; la volontà di rappresentare la città di notte è dovuta al fatto che, secondo Escher, senza la luce del giorno si colgono maggiormente i dettagli architettonici. I risultati sono degli scorci fotografici in cui un particolare elemento costruttivo viene posto in risalto, senza lasciare al caso nessuna figura prospettica.
Ma è grazie al secondo viaggio in Spagna, nel 1936, che l’artista riuscì a individuare l’effettiva linea-guida dei suoi successivi capolavori. L’Alhambra, situata a Granada, è un complesso palaziale andaluso costruito nel lontano 1232. Escher la visitò, rimase affascinato dalle architetture moresche che rendono quell’edificio maestoso e metodico allo stesso tempo. Ed è proprio grazie a quest’ispirazione che nacquero le celebri “tassellature”, che accompagneranno la creatività dell’artista fino all’ultimo: semplici decorazioni geometriche triangolari o quadrate ripetute nello spazio, per non lasciare neanche un punto vuoto. Senza rendersene conto, aveva reso la tecnica l’emblema della completezza, la forma la rappresentazione dell’infinito. Le tassellature vengono considerate alla base della trilogia delle “Metamorfosi”, in cui diversi esseri od oggetti subiscono nell’opera una trasformazione progressiva, fino ad assumere le sembianze di nuove figure, completamente estranee alle precedenti, concatenandosi in un ciclo eterno di immagini. Escher consente così di far interagire tra loro anche elementi antitetici, come il giorno e la notte, il bene e il male, per creare un intreccio tra opposti in un’unica composizione.
Nonostante quest’intuizione sia già geniale di per sé, l’artista non si fermò e aveva intenzione di studiare ancora più in profondità la relazione esistente tra la fisicità e il disegno. Infatti, tutti possiamo accorgerci di come quest’ultimo sia un vero e proprio trucco: i pittori generalmente riescono a rappresentare su una tela bidimensionale un corpo che, nella realtà fisica, è tridimensionale. Escher, per le sue ultime opere, trasse spunto proprio da questo paradosso scientifico, dimostrando come, grazie alla magia dell’arte, si possa invece ingannare l’occhio umano e creare forme inesistenti. Nella stampa delle “Tre Sfere”, ad esempio, siamo convinti di osservare un’immagine tridimensionale, senza accorgerci di come a rappresentare le ellissi, in realtà, siano delle semplici linee parallele tra loro.
“Adoriamo il caos perché ci piace riprodurre l’ordine”: queste le parole di Escher proprio in merito alle sue ultime opere. Ma in fondo, si può intendere un’illusione come idea di “ordine”? Forse è proprio questa domanda che ci spinge ad amare quest’artista: per alcuni scoprirlo potrebbe essere divertente, per altri l’interpretazione dei suoi capolavori si trasforma invece in un’indagine da risolvere, in un “gioco molto serio”.
Vittoria Schina