Troppo spesso sentiamo parlare di disoccupazione e inflazione riferenti a epoche passate, correnti e future come se fossero due elementi ineliminabili…e di fatto lo sono, o meglio sono due fenomeni che non potranno mai essere cancellati totalmente dal mercato del lavoro e dal sistema economico in generale. Pertanto, noi economisti possiamo trovare soluzioni che permettano almeno di ridurre al minimo disoccupazione e inflazione e i danni che quest’ultimi potrebbero provocare.
Quando sentiamo “disoccupazione” pensiamo all’assenza di lavoro, ma questa mancanza di lavoro può essere di vario tipo: 1)Disoccupazione involontaria, sorge quando vi sono lavoratori(potenziali) disposti a occuparsi al saggio salariale(reale) vigente ma c’è poca offerta di lavoro da parte delle imprese per occuparli tutti. In questi casi si parla di “offerta razionata”. Quando vediamo figurare nei dati ISTAT o da altri istituti il tema disoccupazione, nella maggior parte dei casi si riferiscono a quella involontaria per fornire dati effettivi sulla totalità delle risorse umane capaci e volenterosi di trovare occupazione, escludendo tutte le altre. 2)Disoccupazione volontaria, essa si ha quando il lavoratore per varie ragioni non accetta un salario pari al valore della produttività marginale del suo lavoro e quindi rifiuta tali offerte di lavoro. 3) Disoccupazione frizionale, è quella dovuta ad attriti, errori di calcolo, mutamenti imprevisti che causano squilibri temporanei fra domanda e offerta di lavoro. Ovviamente , nel completare una stima perfetta dello stato di disoccupazione, bisogna fare distinzione tra gli individui che non sono in cerca di lavoro perché magari godono di una rendita o di una eredità che gli permette di vivere in condizioni sufficientemente dignitose, oppure non considerare nella forza lavoro di una popolazione tutti quegli individui che percepiscono una pensione o che sono ritenuti invalidi e quindi in alcuni casi inabili al lavoro. Il fenomeno della disoccupazione viene considerato un fallimento macro-economico del mercato perché viviamo in un sistema dove il reddito che il consumatore percepisce è uguale al reddito di un lavoratore, quindi se un individuo non lavora non sarà percettore di reddito. Se la disoccupazione arriva a toccare livelli alti ci saranno problemi di efficienza; questo perché se c’è disoccupazione c’è per ogni persona una perdita di prodotto potenziale. Difatti, un individuo disoccupato rappresenta una perdita di produzione.
Guardando dal lato dinamico, il prolungato stato di disoccupazione per un soggetto gioca anche un fattore psicologico, più passa il tempo e più risulterà difficile trovare lavoro(inefficienza dinamica) perché si perdono le novità, le innovazioni del mercato e le capacità professionali. In economia la somma dei disoccupati(denominati con “U”) e gli occupati (denominati con “N”) forniscono il totale delle forze lavoro (denominate con “FL”) in un determinato arco temporale. Per sapere il tasso di disoccupazione e di occupazione di un paese basta mettere a rapporto rispettivamente gli occupati con la forza lavoro e gli occupati con l’intera popolazione. Con l’aggiunta di calcoli più analitici , possiamo distinguere ogni tipo di tasso percentuale per: età, genere, area geografica e così via.. Tali dati sono fondamentali ( e a volte trascurati) per i governi in carica che potrebbero concentrarsi su alcune regioni d’Italia ad alto tasso di disoccupazione(o lavoro nero), sull’equità di genere e l’elevato distacco che persiste tra giovani e anziani in stato di occupazione e quest’ultimi persino prossimi alla pensione. In molti casi di disoccupazione le imprese continuano a non assumere perché scarseggiano risorse umane con le capacità lavorative richieste(manuali o intellettuali) . Difficile inquadrare il preciso punto di partenza di una crescita della disoccupazione, ma sicuramente rilevanti sono i dati che registrano un calo degli assunti nei colloqui ,le capacità specifiche sempre più richieste nella selezione al personale, un elevato sovraffollamento della popolazione per via di accentuati e costanti flussi migratori in un paese, l’elevata pressione fiscale sulle aziende, l’aumento del costo del lavoro e la pressione dei sindacati che manifestano salari più alti per i loro tutelati…tutti questi sono sintomi poco benevoli che possono mettere in ginocchio l’economia di un paese. D’altro canto, i governi possono azionare delle politiche per contrastare tale fenomeno come l’indennità o il sussidio di disoccupazione.
Quest’ultimo consiste in un assegno che viene rilasciato(in presenza di alcuni requisiti) alla persona che perde il posto di lavoro. Lo scopo è limitare la principale conseguenza della disoccupazione: l’assenza di un reddito, si! Perché tale assenza comporterà una diminuzione della domanda da parte dei consumatori e ciò equivale alle minori entrate per le casse di un’azienda con un progressivo calo della produzione. La Cassa integrazione guadagni è un altro rimedio posto dallo Stato quando l’azienda è soggetta a periodi di crisi. Nei periodi in cui l’azienda non può remunerare tutti i suoi dipendenti ,per evitare il licenziamento, interviene l’INPS sostituendo l’azienda nel pagamento di una parte degli stipendi. In merito a tale tematica, i dati ISTAT ci informano che mentre lo stato di disoccupazione si aggira intorno al 7,8/7,9%, lo stato di occupazione a gennaio è cresciuto dello 0,2% rispetto al mese di dicembre e di 3 punti percentuali rispetto al mese di novembre; nonostante servino mesi a finché le politiche in tema di lavoro attuate da un governo diano i loro frutti e ciò vuol dire che tale aumento dell’occupazione potrebbe derivare dalle politiche del governo precedentemente in carica a FDI, da sottolineare è il buon lavoro fatto fino a ora dal governo in carica Fratelli D’Italia , capace sin qui di tenere costante la crescita dell’occupazione intraprendendo politiche che rispecchiano le esigenze dell’economia italiana.
Tematica non meno scottante è quella dell’aumento generale del livello dei prezzi, quindi anche in questo caso trattiamo un tema a carattere macro-economico e di per sé viene considerato un fallimento perché implica inefficienze e iniquità. L’inflazione è un fenomeno che avvertiamo dall’aumento sostenuto, cioè fortemente percepibile, del livello dei prezzi e per di più, a prima impressione, un normale cittadino lo può notare fin da subito sulle etichette dei prodotti agroalimentari nei supermercati, nei negozi di abbigliamento , di telefonia…Difatti la prima conseguenza dell’inflazione è il valore della moneta che viene meno. In termini nominali il valore della moneta rimane uguale, ma in termini reali la moneta perde valore. L’ISTAT si occupa di fornire periodicamente i dati sul livello generale dei prezzi svolgendo una media ponderata di tutti i beni. Ponderata perché ci sono beni e servizi che pesano molto per le tasche del consumatore. L’ISTAT si occupa di monitorare questi beni e servizi, controllando appunto le variazioni di prezzo. Come ce lo siamo chiesti per la disoccupazione , ci chiediamo anche l’origine dell’inflazione. Essa scaturisce dal conflitto per la distribuzione del reddito dei lavoratori e l’aumento dei profitti da parte delle imprese. Un’impresa che produce e vende il suo bene sa che il prezzo applicato su di esso deve coprire per forza il costo(medio) sostenuto per produrlo e la sua allocazione nel mercato. Ma l’impresa che effettua tale operazione vorrà realizzare anche un margine di profitto (in economia mark-up). Il ricavo totale ottenuto dalle vendite che andrà a coprire i costi e garantire il mark-up è dovuto nella maggior parte dei casi all’aumento della produttività del lavoro .
Ciò si traduce in un aumento delle ore lavorative dei dipendenti. I sindacati dei lavoratori entreranno in scena pretendendo salari più alti in vista dell’aumento delle ore lavorative dei loro tutelati e perciò le imprese vedranno da un lato il sostenimento di maggiori costi per gli aumenti di questi salari. Per permettersi il pagamento di stipendi più alti le imprese dovranno innalzare i prezzi sui loro beni nel mercato e ciò potrebbe diminuire la domanda dei consumatori. Da questo punto si intuisce un semplice effetto a catena di rivendicazioni di salari e profitti che provocherà l’inflazione. Nel caso in cui l’inflazione aumentasse e il tasso salariale rimane invariato, i consumatori perdono potere d’acquisto. Quando c’è inflazione , non è detto che tutti i prezzi aumentano della stessa percentuale. Per esempio, in seguito ad un aumento del tasso inflazionistico del 4%, alcuni prezzi potrebbero salire più del 4% ,altri prezzi potrebbero rimanere invariati oppure in casi rari alcuni beni possono anche scendere di prezzo rispetto al +4%. In Italia, l’inflazione è del 10,0% relativa al periodo di gennaio 2023. Un po’ troppo alta, considerando che l’obiettivo della politica economica è raggiungere il 2%.Al di sotto del 2% si tratterebbe di deflazione e cioè l’indice generale dei prezzi che decresce. Tuttavia, non sarebbe l’ideale neanche un elevato tasso di deflazione perché ciò comporterebbe meno entrate nelle casse delle aziende e quindi verrà meno la capacità di retribuzione dei stipendi. Con un tasso del 10,0% si può rischiare un iper-inflazione che porterebbe al crollo dell’economia. Infine, dando uno sguardo all’economie oltreoceano sappiamo che l’Italia non è l’unica a versare in tali condizioni.
Tralasciando le normative vigenti, le fisionomie locali e i sistemi economici che motivano e giustificano, in alcuni casi,tali dati nei seguenti paesi, il sito web “Trading economics” ci informa che attualmente il tasso d’inflazione in Argentina sarebbe quello più alto del mondo, cioè del 98,8%. A seguire la Turchia con un bel 55,18% (in aumento per via delle conseguenze negative del terremoto).D’altro canto , tale sito ci informa anche che livelli inflazionistici in alcuni paesi nel mondo sfiorano lo 0%, come in Arabia Saudita che si attesta intorno al 3,4% e la Cina con l’1%. L’Italia, come precedentemente analizzato, non è uno dei migliori paesi in tema di occupazione/disoccupazione, ma sempre trading economics ci informa che livelli più alti di disoccupazione li raggiungono: Turchia, Spagna e Sudafrica, rispettivamente con un tasso di disoccupazione uguale a 9,7% , 12,67% e 32,69%. Attualmente, i Stati ai livelli minimi di disoccupazione sembrano classificarsi per primi: Singapore e Svizzera(2,1%) e Giappone(2,6%). Arriviamo agli estremi se pensiamo a paesi come il Liechtenstein che soffre di problemi di occupazione perché risultano esserci più posti di lavoro da occupare rispetto alla numero totale degli abitanti in tale paese.
Nonni Andrea