Dal 2035 verrà vietata la vendita di auto a benzina, diesel e ibride. La decisione dell’Ue ha l’obiettivo di rendere neutro il territorio europeo entro il 2050. Ma davvero questa scelta è l’unica in grado di migliorare la situazione ambientale attuale?  L’inquinamento prodotto dalle auto termiche, determinato dall’emissione di sostanze nocive, come la CO2 e le polveri sottili, è sicuramente un elemento dannoso per il pianeta. Una soluzione adottata negli anni, da parte dell’UE, è stata quella di introdurre una dicitura “euro”, seguita da un numero compreso tra 0 a 6, al fine di suddividere i veicoli in categorie che ne indicassero la datazione e, di conseguenza, il relativo inquinamento. Tuttavia, nel tempo, questo sistema non è risultato sufficiente.  Negli ultimi anni, la tendenza vede un chiaro spostamento in direzione dei veicoli elettrici, i quali vengono pubblicizzati e proposti come soluzione finale alle problematiche relative ai cambiamenti climatici. Secondo quanto sopra citato, dal 2035 saranno solo le autovetture elettriche a poter essere vendute.

Bisognerebbe riflettere su vari aspetti: il costo delle auto elettriche, l’autonomia, i problemi relativi allo smaltimento delle batterie e le infrastrutture necessarie. Le batterie sono considerate come il vero “motore” delle auto elettriche e, quelle più tradizionali, sono a base di NiMh e di litio. Secondo uno studio del Consiglio Europeo del Settore Automobilistico, il costo medio di un’auto elettrica è nettamente superiore rispetto a quello di un’auto a motore termico, dato che il costo delle batterie rappresenta circa il 40% del costo totale dell’auto. Per la realizzazione di queste occorrono materiali costosi, le società minerarie fanno a gara per aggiudicarsi nuove licenze di esplorazione e terreni da sfruttare.  Ad esempio, in Africa, è alta la domanda di metalli come il cobalto, litio e niobio. I prezzi del cobalto sono triplicati negli ultimi due anni, passando da 20 mila a 80 mila dollari a tonnellata.  Per questo, le grandi società si affidano a sub fornitori locali per la gestione del processo estrattivo presentando, però, situazioni di inquinamento ambientale, di violazione dei diritti umani e di sfruttamento.  Uomini, donne – e bambini – lavorano in situazioni difficili e pericolose, privi di sistemi di sicurezza per estrarre le materie prime ed esposti a sostanze chimiche pericolose quali il solfato di litio che può danneggiare il sistema respiratorio. Secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), i lavoratori delle miniere di litio sono costretti a lavorare turni di 12 ore ogni giorno della settimana.

Il problema dello sfruttamento dei lavoratori è legato al fatto che l’espansione del mercato delle batterie, per le autovetture elettriche, ha generato un aumento della domanda di litio. Il principale destinatario dei minerali è la Cina, essa infatti ha duplicato i suoi investimenti nel continente africano e riceve, in cambio di assistenza in ambito sanitario ed economico, accesso alle materie prime. Come osserva Andrea Taschini, manager automotive, “La commissione Ue, imponendo l’auto elettrica, mette l’intero settore nelle mani della Cina, per via del suo dominio su tutte le materie prima necessarie per la loro costruzione”. Tale posizione viene supportato dai dati forniti da uno studio della Commissione Europea stessa: il passaggio alle auto elettriche potrebbe comportare, entro il 2030, la perdita di circa 120.000 posti di lavoro nell’industria automobilistica europea. Un altro problema è lo smaltimento delle batterie perché molti componenti, come gli elettroliti e i metalli, sono altamente inquinanti. Sono state sviluppate procedure per recuperare il 90% dei materiali delle batterie, come ad esempio la costruzione modulare ad elementi separati, ma sono processi molto costosi.

Secondo uno studio dell’Università di Exeter in Inghilterra, l’energia utilizzata per produrre le batterie delle auto elettriche e per eseguire il loro smaltimento alla fine del ciclo di vita, può avere un impatto ambientale maggiore rispetto agli stessi veicoli a combustione. Nel 2022 l’Acea, associazione dei costruttori europei, ha esortato il Parlamento ed il Consiglio Europeo ad accelerare il processo di realizzazione delle infrastrutture di ricarica per le autovetture elettriche.  Un ulteriore studio, esemplificativo ed autorevole, per comprendere la numerosità delle incoerenze che spesso vengono espresse in materia, viene dell’International Energy Agency (IEA), essa espone come entro il 2030 sarebbero necessarie circa 10 milioni di stazioni di ricarica pubbliche per soddisfare la domanda di auto elettriche in Europa, ciò è stato analizzato e si traduce nel fatto che, in virtù del tendente caro dell’energia, per caricare l’auto elettrica si spenderebbe il 161% in più rispetto al 2021. Tutte le informazioni racchiuse in questo articolo non hanno lo scopo di criticare la decisione presa dal Parlamento Europeo, sarebbe troppo facile viste le innumerevoli è lampanti incoerenze, bensì di sensibilizzare il lettore sulla questione. Per il momento, fortunatamente, il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue ha deciso di rinviare il voto a “data da destinarsi”. Bulgaria, Polonia, e Italia hanno manifestato la volontà di votare contro il regolamento dell’Ue. La posizione, da parte della nostra nazione, sottolinea ulteriormente la grande competenza dell’attuale esecutivo.

Sarah D’Astolto