Sono già passati circa 11 mesi da quel 24 febbraio 2022, giorno in cui le forze militari della federazione russa azionarono la prima offensiva invadendo lo stato Ucraino. La storia ci mostra che non è la prima volta che questi due stati si affrontano violentemente. Nel 2014 iniziò il conflitto tra le forze separatiste del Donbass, appoggiate dalla Russia, e le forze governative ucraine. Uno dei primi conflitti risale addirittura a quasi un secolo fa, precisamente tra il 1932 e il 1933, ove la Russia chiuse le forniture di alimenti alla popolazione ucraina provocando una carestia con diversi milioni di morti. Ogni conflitto tra Russia e Ucraina, che sia avvenuto per vie diplomatiche o meno, ha comportato squilibri economici per tutti coloro che intrattengano scambi con questi due paesi.

L’attuale guerra in corso ha apportato gravi danni economici a molti paesi Europei e non, costringendo l’intervento di organi competenti per non rischiare ulteriori squilibri, specialmente carenze di gas. Dal prezzo del gas sappiamo che dipende il prezzo dell’energia e quindi il tasso d’inflazione. L’aumento dei prezzi sul gas va a infierire sulle imprese energivore e va a colpire le famiglie a basso reddito. Per di più un alto prezzo del gas comporta numerose entrate nelle casse dello stato russo così da favorire il finanziamento per la guerra contro l’Ucraina. Il mercato del gas è prevalentemente dominato da “Gazprom”, l’unico produttore russo di gas e quindi un mercato monopolistico. I gasdotti utilizzati per trasportare gas hanno una dipendenza reciproca tra Russia ed Europa; dal lato dell’offerta troveremo il monopolista russo (Gazprom) che può fissare il prezzo e dal lato della domanda troviamo un’acquirente unico che contratta il prezzo per tutte le imprese di distribuzione indipendenti europee.

L’Unione Europea ha azionato due strumenti per contrastare questa guerra:1) l’inserimento di un “price cap” e cioè la fissazione di un prezzo massimo che può essere pagato per il gas importato 2)l’inserimento di un dazio ovvero un’imposta sul gas importato da parte del governo nazionale. Chi compra il gas paga il prezzo al produttore estero (gazprom) e, in aggiunta, il dazio. Tale imposta quindi costituisce un’entrata per il governo che impone il dazio stesso(Unione europea). L’obiettivo geopolitico da parte dell’Unione Europea è quello di ridurre gli introiti che riceve il governo russo dalla vendita di gas e rendere più efficaci le sanzioni. Il governo Draghi ha lasciato un tesoretto di 10-11 miliardi di euro, frutto dei maggiori introiti fiscali per l’aumento del prezzo del gas. Ma se le tariffe resteranno alte, anche questi soldi finiranno presto. L’Italia oggi estrae solo 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno (nel 2000 ne estraeva 17 miliardi). Secondo Assorisorse, l’associazione delle aziende estrattive, entro il 2025 si può salire a 6 miliardi. La nostra leader Giorgia Meloni ha attivato le iniziative per portare a termine il “piano Mattei” e cioè garantire l’indipendenza dell’Italia dal gas russo. Il primo tassello del piano porterebbe l’Algeria a sostituire la Russia come paese esportatore di gas in Europa. Il Ceo di Eni e l’omologa azienda in Algeria hanno stipulato un accordo che permetterà di ridurre le emissioni di gas serra e incentiverà le esportazioni di gas dal Nord Africa all’Italia e all’Unione Europea attraverso la realizzazione di un nuovo gasdotto. L’indipendenza dell’Italia dalla Russia è fondamentale per garantire sereni “italici destini”.

Andrea Nonni