Appello al governo e a tutti i militanti della Destra: celebriamo la vittoria senza dimenticare chi siamo, da dove veniamo e quali sono le mete che intendiamo raggiungere!

La vittoria del centrodestra e il trionfo di Fratelli d’Italia in Lazio e Lombardia non possono che colmare il nostro cuore di gioia, contestualmente devono però indurre ognuno di noi ad una seria riflessione.

Il fatto che oltre il 60% dei cittadini di due importanti regioni abbia deciso di non recarsi a votare è altamente preoccupante, in quanto la sfiducia nella politica continua a crescere, nonostante le istituzioni siano attualmente rette da un governo politico, espressione di un inequivocabile consenso elettorale, cosa che non capitava dalle elezioni del 2008. Non si può sbrigativamente chiudere il tutto addebitando il non voto ai soli elettori di sinistra, essendo assolutamente impossibile che questi possano costituire il 60% in due luoghi che risentono di una forte tradizione di centrodestra. È quindi logico immaginare che una fetta del bacino elettorale convenzionalmente chiamato conservatore abbia scarsa fiducia nei partiti dai quali dovrebbe vedere pienamente rappresentate le sue istanze. Il modo per risolvere la questione esiste: il governo, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, deve debellare qualsiasi pulsione che lo conduca a cercare la legittimazione degli attuali ambienti che contano, impregnati da una politica postcomunista e progressista. Giusto cambiare quindi la dirigenza della rai, almeno questa appare l’intenzione, stando a ciò che si vocifera a Palazzo Chigi, ma l’esigenza non doveva sorgere dopo Sanremo, anche perché era ampiamente prevedibile che il festival sarebbe stato un manifesto del pensiero gender, del femminismo radicale, dell’egualitarismo e di ogni elemento della degenerata ideologia dominante.

Parallelamente alla rimozione degli eredi di Gramsci, i quali avvelenano il mondo della cultura, deve prendere forma la costruzione di una reale alternativa, che non coinvolga soltanto la Rai e i vari canali televisivi, ma anche la Corte Costituzionale, le università e le scuole. Ogni apparato necessita di contenere al suo interno uomini portatori di una visione chiara e netta, priva di contaminazioni generate da eventuali compromessi, inconciliabile con quella dei nemici. Tutti ricordano, immagino, i punti programmatici del comizio di Giorgia Meloni svoltosi in Spagna nel mese di giugno dell’anno passato. Quanto fu lì elencato, famiglia naturale, cultura della vita, universalità del cattolicesimo, frontiere nazionali sicure dall’immigrazione di massa, tutela del lavoro e lotta alla finanza internazionale, sovranità popolare, indipendenza geopolitica dell’Europa dalle altre potenze ed esaltazione della nostra civiltà, dovrà essere il cardine di una nuova rivoluzione. Bisogna passare dalle parole ai fatti. Attuata questa operazione culturale e valoriale, sono assolutamente convinto che una parte dell’elettorato tradizionale della Destra ritornerà a fidarsi del governo, e il risultato sarà una drastica diminuzione dell’astensionismo, a nocumento esclusivamente nostro, dato che la sinistra, essendo già di per se moribonda e totalmente inabile a ricucire un qualsiasi rapporto diretto con la propria base, verrà definitivamente sepolta. Inoltre, una parte dei suoi elettori, conscia del totale e colossale disastro della fazione in cui si è per anni rispecchiata, incomincerà a metterne in discussione l’impianto ideologico nel suo complesso e sarà persuasa a considerare le nostre come risposte valide alla risoluzione dei problemi del terzo millennio. A ciò si aggiunga che l’abolizione del reddito di cittadinanza libererà circa due milioni di potenziali elettori dalla schiavitù che li conduce a votare oggi il Movimento 5 Stelle. Va da sé che difficilmente opteranno per il campo progressista, servo dei gruppi di potere e delle classi borghesi più corrotte e propense ai vizi dell’individualismo e del materialismo.

Insomma, l’astensionismo può trasformarsi in un’occasione unica per la nostra area, ma sta a noi lavorare perché ciò si concretizzi. Lasciar cadere nel nulla tale opportunità significherebbe invece condannarsi ad altri decenni di isolamento e marginalizzazione, come la storia ci insegna. Se essa è davvero magistra vitae, la Destra non incapperà più nei medesimi errori. Per i giovani, in ogni caso, essere in prima fila è l’imperativo morale per antonomasia. Dovremo essere noi un indomani a prendere le redini della storia e a noi spetterà il compito di non permettere che a scriverla siano i vari liberals fighetti, i membri dei centri sociali e quelli che usano l’università come il cortile di casa propria, strizzando l’occhio alla feccia degli anarchici in combutta con i mafiosi. Intraprendemmo tempo fa la via della protesta, giustamente, ora dobbiamo coltivare la proposta, e quale può essere un momento più propizio di quello contemporaneo, in cui il partito al quale siamo legati è il primo partito italiano e ha l’egemonia sull’attuale esecutivo? Il percorso sarà lungo e tortuoso, ma, se è vero, come effettivamente è, che la forza e l’onore sono i tratti distintivi che identificano la migliore gioventù, ovvero la nostra, unita sotto il simbolo della fiamma da più di settant’anni, nulla potrà fermarci.

Qualche altra piccola considerazione

Per sbarazzarci dell’egemonia culturale della sinistra è indispensabile arginare due fenomeni interni all’universo della Destra. Quello di chi crede che per dimostrare superiorità rispetto agli avversari non si debba rimpiazzare il loro sistema di potere ma semplicemente garantire il pluralismo, cosa irrealizzabile, dal momento che qualsiasi cosa ben radicata non può essere limitata, ma va totalmente destrutturata. In tal senso non sono per esempio condivisibili le dichiarazioni del pur preparato ministro Sangiuliano; e quello, ancora più grave, soprattutto nel mondo giovanile, di coloro i quali poco sanno dei nostri pensatori di riferimento come Evola, Codreanu, Adriano Romualdi, Ezra Pound, Tolkien, Spengler, Rene Guenon e tanti altri, possiedono scarse capacità dialettiche e reputano rivoluzionario proferire pubblicamente frasi banali della serie “si stava meglio quando si stava peggio” e richiamarsi coram populo a gesti folcloristici e inopportuni, invaghiti dello stereotipo di quello che il Berizzi di turno descrive come il giovane neofascista. A parte le maschere, essi sono i più incoerenti, amando sopra ogni cosa non la nostra idea, non la cultura, che anzi disprezzano, nonostante i nostri padri posero essa insieme all’azione al centro della propria vita, ma l’esistenza tipica del medio ragazzo moderno. Fortunatamente tutto ciò consiste in un atteggiamento decisamente minoritario, ma non va sottostimato, visto che alimentare la propaganda avversaria è l’anticamera della sconfitta. Ce ne libereremo, gente del genere infatti è destinata a perire, ma, prima si interviene, prima nascerà il progetto della rivoluzione culturale