Sono più di quaranta le persone che hanno perso la vita dopo essere scese per le strade e le piazze di Sanandaj, capoluogo del Kurdistan nel nord-ovest dell’Iran, per protestare contro la morte di Mahsa Amini. 

Lo scorso 13 settembre la 22enne è stata arrestata, maltrattata ed infine uccisa dalla “polizia morale” per non aver indossato correttamente l’hijab, velo che nella tradizione islamica sottrae la vista della donna simboleggiandone l’isolamento e l’appartenenza al marito. Anche il capo della polizia di Teheran, il generale Hossein Rahimi ha respinto le accuse di maltrattamento subite da Mahsa riducendo l’accaduto ad uno “sfortunato incidente”, affermando che la giovane sia deceduta per infarto. Secondo l’Ong curdo (Hengaw Organization for Human Rights), durante gli ultimi scontri si sono manifestati più di 250 arresti e oltre 75 feriti, tra cui si ricorda la presenza di Hadis Najafi, “la ragazza della coda”, uccisa anche lei brutalmente con sei proiettili al viso, colpevole di raccolto i capelli e  di essersi unita ai manifestanti contro l’obbligo del velo. Oltre che a Sanandaj, Karaj, Mashhad la protesta si è estesa in molte piazze e università, dove anche studenti uomini sono scesi a manifestare scandendo il nome della ragazza, dando voce alle donne iraniane e ai loro diritti. In Iran vige la Sharia, legge secondo la quale la donna non gode di pari dignità sociale ed economica; le vengono negati i diritti fondamentali quali la possibilità di esprimere la propria opinione, avere un potere decisionale all’interno del nucleo familiare, lavorare e partecipare alla vita sociopolitica e culturale del paese. In questo campo la cultura occidentale è portatrice di valori opposti alla cultura islamica, non contiene discriminazioni legate al sesso o alle diversità religiose che ogni uomo o donna è libero di professare. Questo avvenimento ha avuto un forte impatto mediatico e le stesse donne iraniane, dopo la morte di Mahsa, stanno diffondendo sempre più spesso sui social media molte foto e video in cui si tagliano i capelli o bruciano l’hijab come protesta simbolica avverso il regime.  In questa situazione i social media hanno permesso di venire a conoscenza ancora di più della profonda emarginazione femminile in Iran e sono senza dubbio una spina nel fianco del governo del paese.