Secondo il grammatico di IV secolo Servio Mario Onorato, nel suo commento all’Eneide di Virgilio, sette furono le garanzie (pignora) che reggevano l’Impero Romano:
⁃ L’ago della Madre degli Dei, pietra meteorica considerata betilo della dea;
⁃ La quadriga fittile dei Veienti, opera dello scultore Vulca di Veio;
⁃ Le ceneri di Oreste, figlio di Agamennone e Clitemnestra, che trovò la morte presso Ariccia fuggendo dalle Erinni;
⁃ Lo scettro di Priamo, ultimo re di Troia;
⁃ Il velo di Iliona, donato da Leda alla figlia Elena per le sue nozze;
⁃ Il Palladio, statuetta di legno raffigurante Pallade protettrice di Troia
⁃ Gli Ancilia, i dodici scudi bilobati dei sacerdoti Salii, dei quali solo uno era l’originale inviato da Marte al re Numa Pompilio.
I suddetti oggetti furono radunati in tempi diversi, tanto che alcuni di questi risalirebbero addirittura alla venuta di Enea dall’Oriente con gli esuli troiani, altri risalirebbero all’età regia e alle prime conquiste territoriali di Roma; soltanto l’ultimo in ordine cronologico, l’ago di Cibele, fu introdotto in età storica per adempiere ad una profezia dei Libri Sibillini, i nove libri di responsi oracolari offerti al re Tarquinio il Superbo dalla Sibilla Cumana.
In questi oggetti Roma poneva le proprie radici identitarie, essi arricchivano e nobilitavano le umili origini dell’Urbe, simboleggiando l’importante apporto che diedero le popolazioni sottomesse per la creazione dell’impero ecumenico, soprattutto Sabini, Etruschi e Greci. i pignora garantivano inoltre la continuità dell’impero, la sua stabile conservazione e la sua invincibilità.
Aspetto fondamentale per comprendere la sacralità dei pignora è il concetto comune a gran parte dei popoli indoeuropei secondo cui, una volta conquistata una città, la potenza conquistatrice poteva appropriarsi della divinità protettrice della città depredata, la quale era inevitabilmente legata a oggetti di particolare valore: statue, reliquie, armi, paramenti, ecc. La divinità avrebbe quindi posto sotto la sua tutela la nuova città custode dei suoi oggetti sacri. Ne abbiamo un esempio nel mito della caduta di Troia: la città aveva garantita l’immunità proprio perché protetta dalla benedizione del Palladio, il sacro simulacro ligneo che raffigurava Pallade Atena. Ilio potè essere distrutta solo dopo che Ulisse e Diomede riuscirono a trafugare il Palladio.
Lo stesso termine “pignora”, utilizzato da Ovidio e altri autori latini per descrivere questi oggetti, era già allora proprio del linguaggio giuridico, e ben descrive il contratto di mutuo che si stabiliva tra oggetto e città custode: la protezione dell’una in cambio della cura dell’altro, conservato in un luogo specifico della città, se non addirittura in luoghi diversi come accadde a Roma: alcuni furono posti nel tempio di Vesta nel Foro, altri nella Regia e altri ancora nei palazzi imperiali.
Era indispensabile che i pignora imperii non fossero sottratti dai nemici o toccati da mani empie: il furto di anche uno di questi oggetti avrebbe significato la fine della protezione divina dell’Urbe e, con essa, del suo potere. Sarà solo con i decreti dell’imperatore Teodosio I, emanati tra il 391 e il 392 d.C., che si perderanno le tracce di questi oggetti sacri, forse nascosti dagli ultimi sacerdoti pagani o distrutti dai cristiani. Una tale concezione per gli oggetti di culto sarebbe stata poi ripresa dallo stesso cristianesimo attraverso le reliquie dei santi, protettrici dei luoghi di culto in cui queste vengono conservate, ma non solo. Roma, in una visione più ampia e unitaria, forse per sua innata vocazione, continua a essere guida del mondo unificato stavolta non più dalla forza delle legioni, bensì dalla fede cristiana, e continua ad avere un ruolo che trascende i meccanici fatti storici e che rappresenta la sua missione divina, scritta nel sangue stesso della Città Eterna.