La religione tradizionale romana era di tipo contrattualistico, ovvero fondata sul rito e sul suo particolare significato per la città. Da sempre questa fu influenzata dai culti degli dèi venerati nelle zone di espansione dell’Urbe, che confluirono man mano nel pantheon romano fino a essere inglobati definitivamente o identificati con divinità preesistenti.

Questo meccanismo rimase il medesimo anche quando la conquista romana arrivò a toccare l’Oriente nel II secolo a.C., cominciando dalla Grecia fino ad arrivare all’estremo Oriente partico e all’Egitto. L’importazione a Roma dei culti orientali avvenne soprattutto per mano della gran quantità di schiavi provenienti dalle zone conquistate, i quali riuscirono a influenzare, anche grazie alla straordinaria cultura di molti di loro, la sensibilità dei loro ricchi padroni al punto tale da spingerli a interessarsi al mondo orientale e a conoscerlo in modo più approfondito. Proprio in questo contesto nacque la letteratura dei “poetae novi” latini, troppo lontani dalla tradizione epica latina e perciò tanto disprezzati dall’élite conservatrice; nacquero gruppi di studio e di divulgazione della cultura greca ,come il celebre “Circolo degli Scipioni”.

Gran parte di questi schiavi divennero i precettori dei giovani rampolli delle famiglie più ricche e nobili, e la cultura greca divenne tanto apprezzata e reputata degna di attenzione che nel I secolo a.C. coloro che volevano intraprendere prestigiose carriere politiche avevano l’obbligo di concludere i propri studi ad Atene. La cultura orientale aveva in sé non solo un nuovo modo di concepire la letteratura, bensì apriva ai Romani nuove prospettive per l’interpretazione del mondo attraverso la diffusione delle filosofie ellenistiche prima, e di particolari culti religiosi in seguito, i quali avrebbero allontanato col tempo Roma dalla sua originaria concezione collettiva e urbana della religiosità.

Nel tardo I secolo a.C. l’introduzione del culto dell’imperatore con Augusto non significò in alcun modo il declino della religione tradizionale, ma fu un fattore di coesione in un momento in cui la concezione divina diventava sempre più una prerogativa personale, slegata dalla ritualità collettiva e del ceto sacerdotale. Nel periodo imperiale tanti furono i culti dei popoli soggiogati che, tradotti nella lingua e nella cultura dei Quirites, accentuarono il sincretismo religioso romano e riguardarono alcune religioni orientali dove avevano più largo spazio il trascendente, il soprannaturale, la credenza in una vita oltremondana e l’iniziazione misterica. Tra i culti che godevano di maggiore fortuna c’erano quello di Cibele, di Iside, del dio Bolide Sole di Emesa importato dall’imperatore Elagabalo, del Sol Invictus importato da Aureliano e il culto di Mitra, nato in Mesopotamia e connesso con la religione ufficiale persiana. La propagazione di questi culti avvenne grazie anche ai numerosi spostamenti della popolazione, legati in larga misura alla pratica della schiavitù, in un impero che era sostanzialmente ecumenico e universale. Tali culti si diffusero dunque dapprima nell’ambito dell’elemento schiavile e libertino, e anche per questo ci fu una resistenza, seppur limitata, dell’autorità statale nell’accogliere tali culti nella religiosità romana.

Solo nel II secolo d.C. cominciarono a farsi strada quelle concezioni monoteistiche, molte delle quali legate poi a particolari filosofie di tradizione greca come il neoplatonismo e lo stoicismo, che diffusero l’idea di un essere supremo razionale e buono che regolasse l’universo. Sopra quelle divinità adorate da diversi popoli con diversi nomi si riteneva che dovesse esistere un’entità suprema e superiore.
Il bisogno di una nuova spiritualità e di un contatto diretto con il divino si scontrava naturalmente con il carattere ritualistico e contrattualistico della religione tradizionale, ma sarà la crisi del III secolo a determinare il vero tracollo delle religione pagana tradizionale come l’abbiamo conosciuta fin dal principio.