Vesta era dea protettrice della casa e del focolare domestico, nonché custode del focolare pubblico che ardeva nel suo tempio. Alla dea viene riconosciuto da Ovidio, che la celebra a più riprese nei “Fasti”, di essere rispettata dall’universo maschile in quanto espressione di una femminilità reale e inviolabile. Quel fuoco sacro rappresentava la vita stessa della città e il suo spegnimento avrebbe portato terribili sciagure. Dalle vestali dipendeva il destino di Roma e a loro erano affidati i sette cimeli sacri della città, i “pignora imperii”, garanti dell’imperitura potenza dell’Urbe.

Le vestali sono presenti fin dai tempi della fondazione di Roma: sacerdotesse vergini legate al culto antichissimo di una dea di cui non si sa nulla, che fu poi sostituita proprio da Vesta. Godevano di privilegi enormi rispetto alle proprie concittadine, sebbene venissero scelte in età puerile per essere consacrate al culto della dea per mano del Pontefice Massimo con un rito simile a quello in uso nel matrimonio, per poi essere sciolte dal giuramento all’età di trent’anni. Le vestali mantennero inalterato il loro compito fino al IV secolo d.C., quando l’imperatore cristiano Teodosio ordinò, in seguito all’Editto di Tessalonica che riconosceva il cristianesimo come unica religione ufficiale, di spegnere quel fuoco sacro che ardeva luminoso da più di un millennio, giorno e notte, all’interno dell’Atrium Vestae, sede del collegio sacerdotale delle vestali nel Foro Romano.

Il simbolo del fuoco allude a un moto ascendente, un’azione conquistatrice, e il suo culto si perde nella storia dei popoli indoeuropei, che avevano in comune il rituale del fuoco domestico attorno al quale la famiglia si riuniva in venerazione e raccoglimento. In seguito, rapportando il concetto di famiglia alla tribù, alla patria, ritroviamo il focolare pubblico, protetto dalla benedizione di Vesta. Roma sarebbe nulla senza le vestali, cioè senza il suo unico sacerdozio femminile incentrato sulla figura di mater familias. La donna, infatti, custodiva il fuoco che avrebbe portato il bambino a diventare cittadino romano. Non c’è una fondazione di città che non passi attraverso le due figure del padre e della madre, la cui unione è benedetta solo se ispirata al costume dei padri, a Roma. Poco importa, dunque, che quel fuoco non sia più fisicamente acceso, ma è necessario che quel fuoco bruci in aeternum dentro di noi, diretti discendenti di questa millenaria civiltà, uomini e donne, la cui dignità sta nell’essere controparte spirituale e indispensabile l’uno per l’altra.

Quel fuoco, dunque, prima di essere fiamma viva che arde e brucia, è la tradizione stessa di un popolo che vedeva in esso la massima espressione dei suoi gloriosi ideali: PIETAS, rispetto per gli dei e gli antenati; FIDES fedeltà alla parola data, virtù apicale del mondo tradizionale; AMOR, servizio e sacrificio; GRAVITAS, attitudine dominata e distaccata; FORTITUDO, capacità di agire e sopportare in maniera risoluta le prove della vita. La tradizione, come da noi intesa, non sia dunque sterile culto delle ceneri, bensì custodia di quel fuoco che ci lega ad un’eredità ancestrale e meravigliosa che è la potenza ideale e trascendentale che permise a Roma di ergersi indomita su qualunque altra realtà antica.