Talvolta è buffo – quasi strappa un sorriso – constatare come la società moderna abbia ritrovato la sua anima attraverso quello che chiama “progresso”; ed è interessante, quanto inquietante, capire la logica occulta che si nasconde dietro questa fatidica parola. Il concetto di progresso, specifichiamo, è qualcosa che di per sé non risulta necessariamente empio o angusto. Le stesse civiltà tradizionali, infatti, avevano una visione incentrata sul progresso, ovvero sullo sviluppo tecnologico dei propri mezzi al fine di poter garantire una migliore efficienza per le proprie attività, che fossero commerciali, agricole o di qualsivoglia categoria. Tuttavia le suddette civiltà, in confronto a quella nostrana “moderna”, possedevano un tratto specifico nella loro esistenza e nella loro essenza, ossia non ebbero mai la pretesa di sostituire, ai principi più puri dell’esistenza, la tecnica; non hanno mai perduto, in altri termini, la prospettiva di una vita vissuta in termini “verticali” e cioè sacri, piuttosto che “orizzontali” e devoti all’esaltazione di una qualche forma di materialismo insignificante.
L’enorme errore che la nostra “civiltà” quotidianamente compie, è proprio l’ostentare quell’atteggiamento di superbia nei confronti di tutto ciò che appartiene a una sfera spirituale e che, quindi, non permetterebbe di esternare tutte le pulsioni primordiali e selvagge dell’uomo ma che, anzi, si prefigge come obiettivo proprio il dominio degli istinti e delle passioni che attanagliano l’essere umano. E allora si può dire che oggi viviamo in un mondo che è essenzialmente laico o ateo poiché ha trovato la sua divinità da venerare e adorare, ovvero la scienza, il progresso, l’evoluzione tecnologica e tutto ciò che ha a che fare con la contingenza. Nonostante sia condivisibile l’affermazione per cui la scienza non possa dimostrare e dare una spiegazione alla totalità del tangibile (anzi a dir la verità, è abbastanza intuibile) spesso questo concetto sfugge ai moderni uomini dello scientismo. A riguardo, parallelamente si può dire che tutte le attività che gli individui compiono oggigiorno siano devote alla ricerca di un eterno potere che risulti prettamente temporale e terreno, sprezzando interamente la componente ascetica e superiore che potenzialmente potrebbe appartenere all’Uomo.
Basti avere a mente – per comprendere appieno il concetto – il mito della Torre di Babele, contenuto nel libro della Genesi: 11, 1-9. Gli uomini, che parlavano tutti quanti una stessa lingua, accecati dalla superbia tentarono di costruire una torre che potesse essere alta a tal punto da arrivare allo stesso livello di Dio, dimostrando come la tecnica e le capacità umane non fossero inferiori rispetto alla divinità stessa. Di tutta risposta, secondo il mito, Dio creò scompiglio tra le persone che stavano costruendo la Torre imponendo che tutti parlassero una lingua diversa, cosicché le comunicazioni risultassero pressoché impossibili e il progetto della Torre fosse abbandonato definitivamente, come di fatto avvenne.
Naturalmente, il mito si presta come un’allegoria del senso primordiale della vita e, proprio per questo, calza perfettamente con la nostra analisi, essendo facilmente associabile alle tendenze moderne dell’essere umano. Infatti, egli è colui il quale costruisce altissimi ed enormi grattacieli, colossali costruzioni in acciaio che riescono incredibilmente, spesso, ad oltrepassare anche le nuvole stesse. Ma, seppur in grado di oltrepassare le nuvole, fintanto che si ostinerà a voler superare i limiti del tangibile senza una visione verticale dell’esistenza, egli rimarrà un essere mediocre che si aggirerà sulla Terra senza prospettive superiori, e continuerà ad essere colui che oltrepasserà le nuvole, ma non tangerà mai il cielo.